La Confederazione nazionale delle famiglie con disabilità è critica sulla legge approvata alla Camera: «In uno Stato di diritto non è accettabile promuovere il diritto alla morte assistita come a una conquista di civiltà, se ciò elude il pieno esercizio del diritto a una buona-vita»
«Approvata alla Camera la proposta di legge sulla morte volontaria medicalmente assistita: è davvero il primo passo verso la conquista di un grande diritto sul fine vita?». Questa la domanda che si pone la Confad, Confederazione Nazionale Famiglie con Disabilità in una nota.
«Sul tema riguardante il fine vita vengono spesso utilizzati termini in maniera approssimativa, generando confusione. Eutanasia, suicidio assistito, sedazione palliativa profonda indicano procedure molto differenti fra loro.
L’eutanasia (letteralmente “buona morte”, dal greco eu-thanatos), indica l’atto di procurare intenzionalmente la morte di una persona che ne faccia esplicita richiesta. Il suicidio assistito è l’atto di porre fine alla propria esistenza in modo consapevole mediante l’autosomministrazione di un farmaco in dosi letali da parte di un soggetto che viene appunto “assistito” da un’altra persona» continua la nota.
«La sedazione palliativa profonda è la riduzione intenzionale dello stato vigile del soggetto mediante farmaci, fino alla perdita di coscienza, indotta dal medico al fine di ridurre o abolire il sintomo divenuto insopportabile per il paziente e non più controllabile con altri mezzi. Si differenzia dall’eutanasia e dal suicidio medicalmente assistito perché con la somministrazione della sedazione palliativa profonda il fine è dare sollievo dalla sofferenza».
«Di seguito richiamiamo i punti più significativi della legge in questione:
– “disciplina la facoltà della persona affetta da una patologia irreversibile o con prognosi infausta di richiedere assistenza medica, al fine di porre fine volontariamente alla propria vita” (art.1);
– “si intende per morte volontaria medicalmente assistita il decesso cagionato in modo volontario, dignitoso e consapevole, con la supervisione del SSN” (art.2);
– specifica che può fare richiesta di morte volontaria medicalmente assistita la persona maggiorenne, capace di prendere decisioni libere e consapevoli e affetta da sofferenze fisiche o psicologiche ritenute intollerabili, con una patologia irreversibile, a prognosi infausta oppure portatrice di una condizione clinica irreversibile, che è tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale, ed è assistita dalla rete di cure palliative o abbia espressamente rifiutato tale percorso assistenziale (art.3)».
«Dunque, la legge, fra gli altri requisiti imprescindibili, ritiene che la persona stia ricevendo, nel momento in cui chiede la morte medicalmente assistita, le cure palliative di cui ha bisogno o le abbia deliberatamente rifiutate. Peccato che l’erogazione delle cure palliative da parte del Sistema Sanitario Nazionale sia di fatto profondamente carente. Le cure palliative e terapia del dolore sono sancite dalla legge 38/2010, che disciplina il diritto di ogni cittadino ad accedere a questo percorso di cura medico-assistenziale, e che ancora oggi è largamente inapplicata».
«La legge 38/2010 prevede la realizzazione di una rete territoriale di cure palliative, attraverso la collaborazione sinergica di unità di équipe mediche specialistiche multidisciplinari domiciliari in collegamento con gli hospice di riferimento locale. È previsto che il paziente venga fin dalla diagnosi preso in carico a domicilio attraverso un piano assistenziale individualizzato (PAI). Non solo, è prevista anche la presa in carico dell’intero nucleo familiare.
A 12 anni dalla sua promulgazione, questa legge rimane ancora scarsamente inapplicata, pochissime le reti territoriali di cure palliative, le équipe mediche specialistiche multidisciplinari; gli hospice spesso ridotti a luogo “dove si va a morire”».
«I malati gravissimi non autosufficienti, con malattie incurabili e neurodegenerative sono spesso abbandonati nelle loro case, lasciati alle cure della famiglia e soprattutto del caregiver familiare, che deve far fronte ad un impegno spesso 24 ore al giorno, senza riposo, deprivato della sua vita relazionale, sociale, lavorativa. Le cure palliative che vengono proposte al malato si riducono alla somministrazione di farmaci per la gestione del dolore, nella fase terminale della malattia».
«In un paese libero e democratico è certamente un segno di civiltà aprire un dibattito serio sul tema del fine vita, con la volontà di promuovere i diritti della persona anche in momenti estremamente delicati. Riteniamo però doveroso e diremmo meglio prioritario, tuttavia, affrontare il tema della buona-vita, anche nelle condizioni più complesse, perché scegliere una buona vita è quanto di più auspicato dalle tante famiglie con disabilità che rappresentiamo.
Lo Stato deve garantire il sostegno reale in tutte le fasi della malattia, e non solo nella fase terminale, allontanando il rischio di liquidare il dolore e la sofferenza con una soluzione di “morte legalizzata”».
«Va tutelato, in qualsiasi condizione di salute, il diritto all’accesso a percorsi di cura personalizzati che guardino a quello “stato di totale benessere fisico, mentale e sociale” che non è semplicemente “assenza di malattie o infermità”, finalizzato al “raggiungimento del più alto livello possibile di salute”, come indica l’Organizzazione Mondiale della Sanità».
«Così si è espresso l’on. Nicola Provenza, relatore della proposta di legge: “L’approvazione in prima lettura è una bella notizia per il Paese, perché il Parlamento finalmente si occupa dei più fragili, di coloro che, afflitti da patologie a prognosi infausta e tormentati da dolore insostenibile, chiedono di poter porre fine alle proprie sofferenze con dignità e assistiti dal Servizio sanitario nazionale. È un giorno storico che ci sprona a continuare a lavorare per un’Italia con più diritti”. Ma è davvero così? È così che “il Parlamento finalmente si occupa dei più fragili”? In uno Stato di diritto non è accettabile promuovere il diritto alla morte assistita come a una conquista di civiltà, se ciò elude il pieno esercizio del diritto a una buona-vita».