Contributi e Opinioni 23 Giugno 2023 10:21

Gestire la comunicazione del rischio, tra cambiamenti, disinformazione, infodemia e perseveranza…

A cura di Tiziano Costantini
Dipartimento di Epidemiologia SSR Lazio – ASL Roma 1

Gestire la comunicazione del rischio, tra cambiamenti, disinformazione, infodemia e perseveranza…

Siamo un paese di complottisti e no-vax? Si chiede Cesare Buquicchio, già Capo Ufficio Stampa del Ministero della Salute dal 2019 al 2022, attualmente direttore responsabile di Sanità Informazione e autore del libro “La comunicazione nelle emergenze sanitarie” durante l’ultimo BAL Talk, ovvero uno degli incontri promossi dalla Biblioteca medica Alessandro Liberati, in collaborazione con il DEP Lazio-ASL Roma 1 e il Pensiero Scientifico Editore, sul tema della comunicazione dei rischi sanitari e ambientali, svoltosi il 7 giugno 2023 presso il Complesso Monumentale del S. Spirito in Sassia a Roma e coordinato dalla direttrice del DEP Lazio Marina Davoli.

La domanda che si pone – e che ci pone – Buquicchio è lecita, giacché i titoloni spesso enfatici dei giornali nostrani sembrano indicare questa via, eppure noi italiani siamo stati tra i più virtuosi in Europa per quel che riguarda il completamento del ciclo vaccinale contro il virus SARS-CoV-2.

Il problema, purtroppo, riguarda la comunicazione e come viene fatta, poiché la disinformazione è sempre un pericolo e lo è ancor di più quando si tratta di sanità pubblica. “Ogni anno – dice Buquicchio – circa 4000 persone subiscono danni gravi a causa delle sedie, ma nessuno ha mai pensato di creare un movimento no-sedie”. Ecco, quindi, che comunicare nel modo giusto è sempre la risposta, serve a proteggere la comunità, aiutando anche e soprattutto chi ha scarso accesso al web.

Come migliorare, dunque, la comunicazione? I punti chiave sono tanti, e ognuno richiede un tipo di comunicazione diversa, ma non si può prescindere dalla fiducia. Creare e mantenere un rapporto di fiducia tra cittadini e istituzioni (il Covid insegna n.d.r.) è infatti il primo passo per una comunicazione del rischio efficace. Chiaramente la fiducia da sola non basta, ma va seguita da altre componenti e soprattutto va alimentata in tempo di pace. Si vis pacem para bellum, insomma, una locuzione che può essere applicata anche in Sanità e soprattutto nella comunicazione del rischio.

L’infodemia nasce proprio da domande a cui autorità e istituzioni non forniscono risposte o peggio ancora forniscono risposte sbagliate, per il timore di comunicare l’incertezza. Perché, si sa, nella scienza – soprattutto in un’emergenza sanitaria, come la pandemia – l’incertezza è sempre presente, ma va comunicata, includendo informazioni esplicite sulle evidenze che si conoscono e su ciò che non si conosce.

“Dare messaggi rassicuranti e che non implicano rinunce è spesso la strada più facile, sottolinea nel corso del BAL Talk Paola Michelozzi, direttrice della UOC di Epidemiologia Ambientale, Occupazionale e Registro Tumori del DEP Lazio- ASL Roma 1 – ma è sbagliato. Spesso, in tema ambientale si parla di emergenza in modo errato, come il tema ‘dell’emergenza arsenico’ nel 2015 nel Lazio, o il tema ‘dell’emergenza delle microplastiche’ che non sono emergenze ma esposizioni croniche, presenti da numerosi decenni”.

Patrizio Pezzotti, direttore del Reparto di Epidemiologia, Biostatistica e Modelli Matematici dell’Istituto Superiore di Sanità, ricorda come ISS abbia sempre cercato di comunicare che, durante la pandemia, c’era un rischio collettivo, ovvero che si trattava di un virus in grado di trasmettersi facilmente e la rapidità con cui cresceva l’epidemia andava contenuta. “Ma lo scetticismo della popolazione – afferma Pezzotti – purtroppo è stato anche causato da quei cosiddetti ‘esperti’, che non riuscivano a tradurre i dati di un piccolo rischio individuale ad un rischio elevato collettivo”. A volte si può avere una percezione sbagliata del beneficio – e di conseguenza del rischio – individuale, che invece ha spesso una importante ricaduta su quello collettivo, ma anche qui occorre comunicarlo nel modo corretto.

Per Giuseppe Quintavalle, commissario straordinario della ASL Roma 1, una cattiva informazione non passa soltanto dalle fake news ma vuol dire anche non rispettare le norme europee, nazionali o regionali, in materia – per esempio – di antibiotico resistenza, per citarne una. “Quello che manca – sostiene Quintavalle – è la reale rete di congiunzione tra la richiesta di bisogno, l’appropriatezza del setting e la reale cura. Questo ci porterebbe a un risparmio sull’inappropriato. Se trasliamo ciò in una società che comincia ad avere fiducia, allora noi possiamo affrontare il futuro in modo più ottimista”.

È innegabile, comunque, che la pandemia abbia modificato anche in positivo alcuni aspetti, come sostiene Roberta Mochi, capo Ufficio Stampa della ASL Roma 1, sottolineando che prima della pandemia si faceva un altro tipo di comunicazione, “che non viaggiava così tanto sui social network”. Purtroppo, il fenomeno delle bufale e delle fake news, a cui ha fatto riferimento Buquicchio, è tipico delle piattaforme social, e allora diviene fondamentale per un comunicatore fare anche un lavoro didattico, andando a stanare queste bolle social e cercare di spiegare alle persone come stanno effettivamente le cose. “Si può fare – afferma ancora Mochi – creando delle community in grado di apprezzare il lavoro di una istituzione così vicina ai cittadini come può essere un’Azienda Sanitaria. Ci vuole tempo e soprattutto ascolto, ma si può fare anche grazie a una serie di strumenti che ci danno una quantità di dati che prima era impensabile avere. Il comunicatore deve mantenere il sangue freddo, formarsi sempre, e soprattutto riuscire a dare risposte equilibrate”. Perché se sbagli sui social network, sbagli alla grande, e allora bisogna stare molto attenti.

Ecco allora che diventa fondamentale e preziosa un’attività di formazione costante, che cerchi di ricostruire un’alfabetizzazione sanitaria che in Italia abbiamo perduto o forse non abbiamo mai avuto. Lo sottolinea Luca De Fiore, direttore generale de Il Pensiero Scientifico Editore, ricordando alcuni passaggi chiave della comunicazione durante la pandemia.

Nel range temporale dalla metà di marzo all’inizio di aprile 2020 abbiamo assistito a tre eventi comunicativi paradigmatici, la preghiera di Papa Francesco, da solo sul sagrato della Basilica di San Pietro; poco dopo c’è stato il discorso della Regina Elisabetta nel suo studio, con un colore verde speranza a campeggiare; infine, all’inizio di aprile, Jacinda Ardern – allora primo Ministro della Nuova Zelanda – che usò Facebook per parlare ai bambini del suo popolo, rassicurandoli che il coniglietto che tradizionalmente porta i regali di Pasqua sarebbe stato considerato un lavoratore essenziale e avrebbe potuto svolgere il suo compito. “Questi esempi – sottolinea De Fiore – ci hanno mostrato come l’informazione non possa prescindere dai fuoriclasse della comunicazione, perché dietro questi tre discorsi ci sono state delle eccellenze di staff che hanno messo queste persone nella condizione di non sbagliare nulla”. E in questo ci vuole talento, ma anche esercizio, e quella formazione a cui ha fatto riferimento anche Roberta Mochi.

Bisogna prendere atto del fatto che il campo della comunicazione del rischio sia cambiato e abbia subito un’evoluzione nell’ultimo decennio, con gli addetti ai lavori che si sono dovuti confrontare con importanti eventi e problemi contemporanei, con tecnologie emergenti e nuovi canali di comunicazione. Ciò conferma ulteriormente come una comunicazione del rischio efficace richieda un approccio multiforme, e quei concetti come la fiducia, la trasparenza e l’incertezza che si sono rivelati multidimensionali richiedono quindi discussioni più articolate di quelle che molto spesso si verificano attualmente.

La comunicazione del rischio è un processo continuo, un impegno a lungo termine in cui, come sostiene il professor Roger Kasperson, soltanto la “perseveranza” può garantire risultati duraturi e positivi.

A cura di Tiziano Costantini
Dipartimento di Epidemiologia SSR Lazio – ASL Roma 1

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