di Grazia Attili, Psicologa Evoluzionista, Professore Ordinario di Psicologia Sociale presso l’Università di Roma Sapienza, Autrice di “Attaccamento e Costruzione Evoluzionistica della Mente”, 2007, Cortina Editore
Da quando è iniziata l’emergenza Coronavirus, psicologi e psichiatri richiamano l’attenzione sui disturbi mentali ai quali medici e infermieri potrebbero andare incontro nell’immediato, e/o quando tutto questo sarà finito. Si ritiene, infatti, che l’assistere alla sofferenza e alla morte dei pazienti e il rischio di contagio possano portare a disagi analoghi a quelli di chi assiste ad eventi catastrofici o si sia confrontato con il rischio di morire, codificabili come Disturbo da Stress Post-Traumatico (PTSD). E da uno studio condotto in Cina nel periodo compreso tra il 7 e il 14 febbraio sul personale sanitario a contatto con pazienti Covid-19 appare che il 23% dei medici riporta sintomi di ansia di forte intensità, e che nel 27 % del personale sanitario sono riscontrabili i sintomi descritti nel PTSD, quali insonnia, agitazione, ipervigilanza, incubi notturni, immagini negative ricorrenti, ansia, depressione, senso di confusione, insonnia, irritabilità (Huang et al.,2020). Ma come mai vedere la sofferenza degli altri e/o o la paura di infettarsi hanno un impatto così forte sulla salute mentale dei sanitari? Una interpretazione plausibile è quella che fa ricorso al modo in cui è organizzata la nostra mente a seguito della nostra evoluzione biologica.
Noi siamo dotati di vari Sistemi Motivazionali, di organizzazioni mentali, frutto della selezione naturale, e quindi a base innata, detti “Sistemi di Controllo Corretti secondo uno Scopo”. Questi portano alla messa in atto inconsapevole e rapida di quei comportamenti che, a seconda delle situazioni, fanno raggiungere uno scopo specifico collegato alla possibilità di sopravvivere o di provvedere alla propagazione dei propri geni. Siamo regolati, per esempio, da un Sistema della Difesa. In caso di pericolo, questo si attiva in automatico e fa scattare i comportamenti che possano garantire la vita: possiamo attaccare o fuggire; se non ne abbiamo la possibilità, restiamo immobili, come congelati; e/ o, a livello psicologico, sperimentiamo stordimento e intorpidimento. Quando non c’è scampo (siamo in una situazione di fuga bloccata), una immobilità simile alla morte è una strategia di difesa, frutto dell’evoluzione; nel mondo animale impedisce di essere attaccati dai predatori che si cibano solo di individui vivi. A livello mentale lo stordimento protegge da reazioni inconsulte di panico. Raggiunto lo scopo (abbiamo scongiurato il pericolo) il sistema si disattiva, le nostre risposte cessano, e si ripristina una situazione interna di rilassatezza.
Altrettanto importante per la sopravvivenza è il Sistema dell’Attaccamento il quale ha lo scopo di tenere in equilibrio il sentirsi sicuro con le condizioni esterne di pericolosità. La possibilità di non morire è biologicamente assicurata dal contatto con una figura specifica che possa proteggere e confortare (i genitori, quando si è piccoli; il partner nella vita adulta). Se siamo in pericolo o ci sentiamo male, questo sistema si attiva e porta alla messa in atto dei comportamenti che possano produrre o mantenere l’accostamento di quella persona: manifestiamo il nostro dolore, piangiamo, cerchiamo un abbraccio o una carezza. Quando lo scopo è stato raggiunto (siamo vicini alla persona che ci protegge) il sistema dell’attaccamento si disattiva, e l’organismo raggiunge uno stato di calma.
Speculare è il Sistema dell’Accudimento, il quale dà conto della propensione a dare cure a chi è più debole, così che scatta, in particolar modo, nei confronti dei nostri figli. Garantendo alla nostra progenie la sopravvivenza possiamo propagare i nostri geni nelle generazioni successive. Per estensione il sistema dell’accudimento si può attivare, poi, ogni qualvolta percepiamo un bisogno da parte di altri. Ai primordi, i gruppi erano formati da consanguinei; aiutandoli avevamo una chance maggiore di replicazione genica.
Ebbene, le esperienze dei medici ed infermieri con pazienti Covid alterano il funzionamento proprio di questi sistemi e fanno scattare motivazioni tra loro incompatibili. Il bisogno dei malati fa attivare il sistema dell’accudimento, peraltro precipuo delle professioni di aiuto. Ma con i pazienti affetti da Coronavirus questo meccanismo rimane come inceppato, così che l’organismo non raggiunge mai uno stato di rilassatezza: i comportamenti di cura vengono messi in atto senza soluzione di continuità perché molti malati non guariscono, altri ne arrivano in continuazione; e molti muoiono. I medici, pertanto, si devono anche confrontare con un senso di fallimento per non raggiungere lo scopo previsto da quel sistema.
In contemporanea, la possibilità di essere contagiati fa attivare il sistema della difesa. Questo, tuttavia, entra in conflitto con il sistema precedente; infatti, non può portare alle reazioni di fuga dal pericolo, perché il senso del dovere e l’amore per chi è malato richiede di rimanere accanto ai pazienti a dare cure. Può dar luogo, pertanto, a quello stordimento da “fuga bloccata”, esperito da alcuni medici e infermieri a fine turno. La propria paura e il senso di solitudine fanno attivare, inoltre, il sistema dell’attaccamento, al quale non viene consentito di far scattare le richieste di conforto a causa dell’attivarsi, ancora una volta, del sistema dell’accudimento: al ritorno a casa, la spinta a proteggere i familiari da un possibile contagio fa da deterrente al cercare quel contatto che potrebbe lenire lo spavento. Non a caso, spesso il personale sanitario preferisce dormire in ospedale o in un’altra abitazione. Peraltro, può accadere che i familiari stessi vogliano mantenere le distanze, per paura dell’infezione, e si mostrino freddi; così, la mancata risposta nel momento cruciale del bisogno può dar luogo ad una ritraumatizzazione.
L’attivazione simultanea, e la mancata disattivazione di sistemi mentali che si pongono come incompatibili, possono essere considerati tra i principali fattori di rischio per una sintomatologia traumatica. Il conflitto motivazionale, che impedisce il soddisfacimento di bisogni di base legati alla difesa, alla protezione e al conforto, porta, infatti, ad emozioni troppo intense per essere sopportate dall’organismo. Queste, quindi, potrebbero ben dar conto dell’emergere subito, ma anche dopo molti mesi, quando la tensione si allenta e si ha un crollo dei meccanismi di difesa, di quei sintomi propri del PTSD, dei quali dicevamo all’inizio, i quali costituiscono, per il personale sanitario coinvolto in questa terribile emergenza, il costo immenso del dare cure.
Tratto da “Sistemi motivazionali e salute mentale di medici ed infermieri nell’emergenza CoronaVirus: una prospettiva evoluzionistica”, in stampa
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