di Claudio Melloni, specialista in anestesia e rianimazione, già primario dei servizi di Anestesia e Rianimazione Ospedali di Lugo e Faenza
Sono molto preoccupato per lo stato di malessere fisico e psichico che alcuni colleghi anestesisti rianimatori mi hanno riferito negli ultimi tempi. Si tratta di miei ex allievi di quando insegnavo e lavoravo all’ospedale S. Orsola che ho lasciato nel 1995. Attualmente questi validi colleghi sono in servizio negli ospedali pubblici dell’Emilia Romagna ed hanno età comprese fra i 50 e i 60 anni. Tutti riferiscono sintomi tipici del “burnout”, come definiti dall’OMS, con sintomatologia caratteristica fisica e psichica. Sono convinto che quest’anno di superlavoro per la pandemia abbia colpito la nostra categoria professionale probabilmente in misura maggiore che altre specialità sia per l’accresciuto stress emotivo che per quello fisico, aggravato da turni di lavoro prolungati e resi più pesanti da condizioni ambientali eccezionali, quali per esempio vestizioni protettive più pesanti e calde, con maggiori difficoltà al movimento ed alla respirazione.
A queste difficili condizioni lavorative ambientali si sono aggiunte il rischio di infettarsi, avvenuto regolarmente, e il timore di infettare i familiari una volta rientrati al domicilio, con ripercussioni sulla vita di relazione in generale (isolamento domiciliare) e in assenza delle distrazioni usuali cancellate dalla quarantena: congressi, corsi, cinema, week end al mare, palestra, viaggi ecc.
In questa difficilissima situazione non mi risulta sia stata attuata una organizzazione efficiente di supporto psicologico o motivazionale né in termini di sostituzioni e turnazioni né sono stati concepiti premi; anzi il bonus promesso di ben mille euro è stato ritenuto addirittura offensivo! Qui concordo pienamente; meglio sarebbe stato un encomio solenne, una pergamena, una promozione sul campo… senza contare che al netto la somma elargita non vale nemmeno la metà. Mi viene in mente il confronto spietato con i colleghi UK , ove un consultant chirurgo maxillo facciale, quindi praticamente abbastanza lontano dal problema Covid, ha ricevuto a fine 2020 un premio di produttività di ben cinquemila sterline!
Di fronte al perdurare di una situazione di confusione e scarsa organizzazione che diffonde malcontento sono convinto che si debba iniziare un circuito premiante fatto di speranza di avanzamento di carriere e salari altrimenti prevedo un massivo ricorso alla ricerca di posizioni meno faticose o prepensionamento per tutti coloro che ne potranno usufruire con creazione di ulteriori problemi per le sostituzioni che si renderanno necessarie.
Raccomando che si assicurino turni meno gravosi, ferie aggiuntive e iniziative premianti di carriera e/o denaro, oltre che garantire più aggiornamenti e cultura, che non può né deve essere interna alle istituzioni stesse autoreferenti, ma deve allargarsi a iniziative di aggiornamento presso altri centri di eccellenza italiani e stranieri e a partecipazioni a corsi in presenza non appena possibile.
Il burnout riferito non potrà attenuarsi nonostante la diminuzione della pressione da Covid-19, perché già partono le liste di attesa dei pazienti elettivi trascurati dalla pandemia; ciò richiederà ulteriori sforzi organizzativi a tutta la classe medica chirurgica e quindi ulteriore carico di lavoro che non vedo come possa essere risolto da una organizzazione che ha già mostrato notevoli carenze con scelte tecniche discutibili, come per esempio la chiusura dei reparti (anche intensivi) allestiti a suo tempo al Bellaria e ben funzionanti inspiegabilmente chiusi in occasione della terza ondata pandemica con spostamento di personale presso il Maggiore, struttura poco gradita a molti e che ancora presenta criticità edilizie.
Mi rendo conto che sia difficile formare specialisti in anestesia e rianimazione nel breve termine; forse occorrerà ripensare ad un diverso accesso a questa disciplina da parte di altre specialità come avviene in altri paesi o addirittura alla divisione delle due branche, anestesia da una parte e rianimazione dall’altra, che infatti non sono necessariamente così legate come si pensa. Simultaneamente si dovrà anche risolvere l’annoso problema della colpa medica che affligge la nostra categoria e che non può costituirsi nell’ambito penale ma tutt’al più riconoscersi nell’ambito civile come la “ malpractice” di derivazione anglosassone.
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