Contributi e Opinioni 8 Ottobre 2021 16:49

Il Multitasking: l’illusione di essere più capaci

di Stefania Tempesta, psicologa Odp Lazio

di Stefania Tempesta, psicologa Odp Lazio
Il Multitasking: l’illusione di essere più capaci

L’urgenza di fare ha forse dato vita ad una nuova modalità di essere?

Il contesto sociale e culturale attuale assiste alla diffusione del fenomeno multitasking, di cui è protagonista l’individuo, alacre e spesso inconsapevole esecutore di compiti dettati dall’esigenza di produrre, costruire, sistemare, realizzare; la persona si sente “adeguata” quando è efficiente, veloce e soprattutto attiva su più fronti.

Il termine multitasking comparve nel lessico quando negli anni ’60 IBM presentò un computer in grado di eseguire più di un compito alla volta; oggi riassume la propensione, per molti una vocazione, di poter svolgere più attività contemporaneamente. L’evoluzione ci ha reso più capaci, forse: possiamo parlare al telefono mentre guidiamo l’auto, inviare mail mentre seguiamo un convegno, conversare e mandare messaggi, cucinare e discutere un progetto con un collega. Saper fare tante cose al contempo sembrerebbe una grande conquista, eppure gli studi hanno evidenziato che la multiprocessualità porta ad una dispersione di concentrazione e di energia non auspicabile per la produttività, che subisce un decremento. Per quale motivo?

Il cervello umano è un organo meraviglioso, ma non è programmato per processare più attività nello stesso momento: passando da un’azione all’altra diventiamo più lenti ed il gran numero di stimoli che riceviamo ci rende incapaci di distinguere le informazioni più rilevanti da quelle meno importanti, abbiamo difficoltà relative all’organizzazione dei pensieri e mettiamo a rischio la funzionalità della memoria a breve e a lungo termine.

Ogni volta che ci attiviamo in un compito che richiede la nostra attenzione il nostro cervello viene esortato a compiere un lavoro; la corteccia prefrontale comincia a funzionare inviando messaggi alle altre aree cerebrali. Se restiamo concentrati su un solo problema entrambi i lati della corteccia prefrontale lavorano insieme ed in perfetta armonia; nel momento in cui aggiungiamo l’impegno su un secondo compito, il lato destro e quello sinistro della corteccia si attivano indipendentemente uno dall’altro, come è stato evidenziato da studi di laboratorio effettuati grazie all’ausilio della RMf (Risonanza Magnetica funzionale); è emerso che il cervello dei partecipanti che si applicavano su due compiti sembrava letteralmente diviso a metà, di conseguenza i soggetti dimenticavano dettagli importanti e incorrevano più volte in errori che non avevano fatto quando svolgevano una sola attività alla volta.

I ricercatori, inoltre, non forniscono dati confortanti rispetto all’abitudine diffusa di passare il tempo usando diversi strumenti digitali (per esempio guardare la TV e inviare messaggi con il cellulare): quando sottoponiamo il nostro cervello ad un lavoro plurimo si verifica una diminuzione del nostro quoziente intellettivo che sembra regredire notevolmente e le immagini ottenute con la risonanza magnetica evidenziano come il multitasking provochi una riduzione della densità della corteccia aanteriore cingolata, ossia quella regione del cervello deputata al controllo cognitivo ed emotivo. Uno studio dell’Università di Cambridge ha messo in luce proprio le ripercussioni del multitasking sul livello di benessere degli individui: le persone dichiaravano di essere più felici quando la mente era concentrata su ciò che facevano, cioè quando la mente era concentrata su un unico compito. Il nostro equilibrio psicofisico è certamente correlato alla capacità di essere presenti alle nostre azioni, cioè di avvertire la nostra piena adesione ad uno specifico impegno compiuto in maniera intenzionale.

Quando lavoriamo passando rapidamente da un’azione all’altra mettiamo in gioco un notevole impegno cognitivo; ciò provoca un incremento della produzione di cortisolo, che alimenta lo stress, e di adrenalina, l’ormone che attiva lo stato di allerta. Il multitasking, inoltre, comporta un più rapido esaurimento di glucosio ossigenato, la sostanza che consente di mantenere un adeguato livello di concentrazione; ecco perché stare su più compiti contemporaneamente può provocare spossatezza e stanchezza. Chi fa multitasking abitualmente, infatti, tende a mangiare di più e ad assumere maggiori dosi di caffeina.

Molti sentiranno di obiettare che essere molto occupati restituisce una sensazione di benessere: ci si sente energici e dinamici. L’illusione di poter fare tante cose insieme, in effetti, aumenta la produzione di dopamina, che ci rende momentaneamente soddisfatti, anzi protesi a fare ancora di più per ottenere una maggiore “dose” di appagamento. Eppure è emersa una correlazione tra l’abitudine di svolgere compiti in rapida successione e alternanza e la tendenza all’ansia e alla depressione. Perché?

Il cervello umano è in grado di svolgere più di un compito alla volta, ma solo quando uno di questi compiti non richiede un impegno cognitivo; possiamo camminare masticando una caramella, ad esempio, perché la caramella nella bocca non sollecita il cervello a lavorare. Il problema sorge quando cerchiamo di fare due cose che chiamino il cervello stesso a mettersi all’opera: in questo caso, se passiamo rapidamente da un’attività all’altra, nessuno dei compiti in cui siamo impegnati riceverà l’attenzione di cui necessita; ogni volta che spostiamo l’attenzione su un compito diverso la nostra prestazione subirà una deprivazione in accuratezza e precisione.

Possiamo metterci alla prova provando a “tuffarci“ in un paio di progetti: cominciamo a leggere un libro, poi mettiamoci a guardare un film, oppure intraprendiamo un’intensa discussione sul senso della vita con un amico. Probabilmente ci accorgeremo che stiamo compiendo un’ingiustizia nei confronti di entrambi i nostri progetti, concedendo ad ognuno dei due solo una parte della nostra capacità di concentrazione.

Purtroppo la pratica del multitasking può attivare una vera e propria dipendenza, ancor più preoccupante perché coinvolge i più giovani, travolti nell’ingranaggio dell’uso smodato dei dispositivi elettronici; questi ultimi consentono di entrare in relazione, lavorare, giocare, in una mescolanza di progetti fruibili all’istante, ma che non lasciano spazio all’intenzionalità consapevole. Esiste il pericolo di essere risucchiati in un meccanismo troppo rapido che esonera dalla scelta, che rende il piacere fugace ed effimero, che ci depriva della capacità di “essere” nell’illusione di “fare”.

 

 

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