di Emilio Piccione, Prof. Emerito Ginecologia e Ostetricia Tor Vergata
Svolgeva da sempre l’attività medica, quella giovane Dottoressa, con una serietà e dignità tali che nel tempo le avevano fatto guadagnare l’assoluta stima di quanti la conoscevano o ne erano colleghi di lavoro.
Quel giorno, proprio perché Lei stessa era stata la persona che aveva avuto l’ingrato compito di comunicare ai parenti tutti che stavano lì ad aspettare che ancora una volta l’intervento di un Loro caro sarebbe stato rinviato ai giorni successivi, sebbene nessuna colpa le potesse essere riconosciuta, ne dovette subire però le più violente conseguenze per la protesta che coloro che erano in attesa fecero montare, accusando con ira indescrivibile non solo la Dottoressa stessa ma anche l’intera classe medica di quella struttura ospedaliera, giudicata in quell’occasione come inetta e irresponsabile. Brava fu la dottoressa a rimanere ferma di fronte a quell’atto che l’aveva tanto offesa ed umiliata, un atto di violenza che Lei stessa, in quel momento, ritenne con piena convinzione di dovere circoscrivere solamente a quell’istante proprio per non dar adito a pericolose discussioni e imprevedibili reazioni.
Nello scritto che le fu richiesto per dare elementi di risposta su quanto le era tristemente capitato nel corso del Suo pubblico servizio, volle riferire che a colpirla fortemente furono non già la violenza fisica, quanto proprio il “turpiloquio” e il senso dell’acredine con cui i protestanti Le mostrarono la loro rabbia e la loro cattiveria.
Turpiloquio e acredine sono due termini oggigiorno poco utilizzati nel linguaggio che è comune. Chi ha voglia di approfondirne il reale significato, legge nei vocabolari della lingua italiana che “turpiloquio” equivale ad un “modo di parlare volgare, offensivo e irriverente, utilizzato per mostrare disappunto verso qualcuno e che può consistere nell’utilizzo di imprecazioni, parolacce e bestemmie, usate anche come intercalare”. A proposito dell’“acredine”, si riporta che sinonimi della parola stessa sono “il rancore, il livore, la velenosa ostilità”.
Un fatto, dunque gravissimo quello tristemente verificatosi che ha leso non solo la persona e la figura professionale di un Medico che era in servizio in una struttura del tutto pubblica, ma è qualcosa che indubbiamente va ben al di là di ogni cosa solo perché ha il significato di un’ulteriore offesa gratuita alla dignità di quella figura medica oramai sempre più schiacciata, appunto, da disgustosi turpiloqui e acredini pesanti.
La voce di qualcuno che ebbe voglia di obiettare disse che fortunata fu la Dottoressa a non essere stata malmenata o non essere stata oggetto di facili lesioni da coltello, strumento questo sempre più presente oramai nelle tasche di certa gente che lo vede come irrinunciabile mezzo di difesa. E che episodi di questo genere, secondo altri che erano presenti, non avrebbero dovuto destare alcuna meraviglia perché meno significativi di altrettanti episodi che sono macroscopicamente più evidenti.
Essere aggrediti verbalmente come è stato per la nostra Dottoressa, invece, è un atto che ferisce ancora di più di una lama di coltello, perché rischia di spezzare il senso del dovere, la passione e quell’entusiasmo che è dato, ancora, dall’esercitare l’arte così nobile della medicina.
Con il gesto espresso verso la nostra Dottoressa è stata in realtà colpita la figura medica nel suo significato generale, quella figura medica che ha giurato di essere sempre fedele al senso della verità nell’assistenza quotidianamente prestata agli ammalati. Con una deontologia che vede come assolutamente inaccettabili le violenze fisiche e verbali lanciate così gratuitamente, come nel caso che ha coinvolto la nostra gentile Dottoressa.
“Non esiste una medicina così potente che possa curare un uomo volgare”. Parole, queste, di quell’antico proverbio cinese che, ahimè, ci vengono in mente nel riflettere, molto preoccupati e desolati, su questa brutta, ma così significativa, storia che abbiamo voluto raccontare e commentare.
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