Contributi e Opinioni 14 Aprile 2022 15:53

Il valore di farmaci equivalenti e biosimilari per gli italiani: una questione di semantica e non solo

Presentato un progetto editoriale del giornalista Claudio Barnini, realizzato grazie al contributo non condizionato di EG STADA Group. Il volume propone un’analisi multidimensionale del valore dei farmaci a brevetto scaduto: dai bias cognitivi, ai pregiudizi culturali da scardinare, sino alle nuove strategie di governance e industriali, con le loro criticità e aree di miglioramento

Il valore di farmaci equivalenti e biosimilari per gli italiani: una questione di semantica e non solo

“Equivalenti e biosimilari. Il futuro dei farmaci passa da qui”. Questo il titolo del progetto editoriale curato dal giornalista Claudio Barnini, nato con l’obiettivo di contribuire a una piena consapevolezza del cittadino-paziente rispetto al valore multidimensionale dei medicinali equivalenti e biosimilari.
Il volume affronta un tema tanto attuale quanto ancora bisognoso di chiarezza e di corretta informazione, entrando nel merito della complessità socio-economiche del mondo di equivalenti e biosimilari grazie al contributo di Istituzioni – la pubblicazione vede, infatti, la prefazione a cura dell’Onorevole Angela Ianaro, Membro della Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati -, mondo accademico, associazioni di categoria, di pazienti, esperti di farmacoeconomia e comunicazione. Il volume è stato realizzato grazie al contributo non condizionato di EG STADA Group.

“Sono sempre stato convinto che un paziente formato e informato correttamente sia un paziente più forte. Quando si parla di salute e sanità, verifica delle fonti e linguaggio divulgativo sono gli elementi imprescindibili per fornire un’informazione appropriata e che possa, altresì, essere facilmente fruibile e comprensibile anche per il grande pubblico. In un mondo poi come quello attuale, dove in Rete circola di tutto in tema di salute, spesso purtroppo senza alcuna base scientifica, ho pensato che fare chiarezza sui concetti di farmaco equivalente e biosimilare fosse quanto mai utile e importante. E questo libro vuole essere una dimostrazione di cosa significhi ‘centralità del paziente’”, esordisce Claudio Barnini illustrando il razionale del progetto editoriale.

Sul ruolo fondamentale delle Istituzioni, con particolare riguardo alle politiche di governance del farmaco, interviene l’Onorevole Angela Ianaro: “La Salute pubblica è un obiettivo raggiungibile con la chiave della scienza e della conoscenza, senza indugi. Viviamo un periodo nel quale la politica può cogliere l’occasione di rafforzare la cultura collettiva del valore del farmaco, come prodotto misurato nella sua efficacia, nella sua sicurezza e nella sua accessibilità, e valorizzare la ricerca come azione trasversale connessa a garanzia della qualità di ogni classe di farmaco e alla sua gestione. Rafforzare la ricerca, porla al centro delle politiche della Salute, comprese quelle afferenti i farmaci equivalenti, significa anche rafforzare tutta la catena terapeutica e favorire l’abbattimento delle distorsioni legate al non corretto uso dei farmaci. Dobbiamo proseguire sulla strada già segnata dal Governo e aumentare la disponibilità delle risorse e la produzione interna, anche attraverso politiche industriali di comparto strategiche ed attrattive. Non solo quindi valorizzazione dei farmaci, ma anche un più esteso ripensamento della Governance del farmaco che poggi su una spinta propulsiva alla ricerca e all’innovazione e sviluppi politiche fondate su evidenze scientifiche, certezza delle regole e dei tempi dei processi regolatori”.

Sebbene negli ultimi anni la quota di mercato dei farmaci equivalenti sia progressivamente aumentata, il loro utilizzo in Italia non è paragonabile a quello di altri Paesi europei. “In Italia il mercato dei generici equivalenti è ancora molto distante dall’Europa, soprattutto da Paesi come il Regno Unito o la Germania: oggi il 67% delle prescrizioni di farmaci erogati in Europa riguarda i generici che incidono solo per il 29% della spesa totale farmaceutica, liberando risorse per l’acquisto di farmaci innovativi. Sempre in Europa vengono prodotti circa il 75% dei medicinali equivalenti consumati a livello globale e l’Italia si conferma il secondo Paese europeo per valore della produzione di farmaci generici e il primo per numero di imprese di settore. L’ultimo rapporto Nomisma (2021) evidenzia un impatto (diretto e indiretto) complessivo generato dalle aziende di equivalenti pari a circa 8 miliardi di euro per quanto concerne il valore della produzione, che coinvolge oltre 39 mila occupati, tra diretti, indiretti e indotto. Questa performance produttiva purtroppo non si rispecchia nei dati di mercato interni: nel 2020 i farmaci a brevetto scaduto hanno assorbito nel nostro Paese l’85% della farmaceutica convenzionata a volumi (68% a valori), ma il consumo dei generici equivalenti è rimasto di fatto stazionario, assorbendo il 22,46% del totale del mercato a confezioni e il 14,5% del mercato a valori. E i cittadini hanno pagato ancora una volta di tasca propria circa 1 miliardo di differenziale di prezzo per ritirare il brand invece del generico-equivalente e la spesa più elevata è stata nuovamente registrata nelle Regioni a reddito pro-capite più basso. Molto dipende anche dalle politiche di governance adottate dai diversi sistemi sanitari: servirebbero nuove, esplicite e convinte campagne informative a livello nazionale rivolte ai cittadini e andrebbero rimossi paletti anticoncorrenziali, come il patent linkage. Informazione corretta e onestà intellettuale sono l’unica risposta possibile per contrastare fake news per lo più determinate da interessi di mercato”, dichiara Michele Uda, Direttore Generale di Egualia.

Tra le cause a cui imputare un ridotto consumo di medicinali equivalenti da parte dei nostri connazionali pesano ancora alcuni pregiudizi e resistenze culturali e percezioni distorte riguardo a questa categoria di farmaci, alimentando spesso perplessità e convinzioni sbagliate, prive di qualsiasi riscontro scientifico, quali, per esempio, che gli equivalenti possiedono il 20% in meno di principio attivo rispetto al corrispettivo brand. “Scrolliamoci di dosso definitivamente la convinzione che gli equivalenti siano esclusivamente un’opportunità di risparmio e, come da obiettivo della campagna #IoEquivalgo portata avanti da Cittadinanzattiva, continuiamo a mettere al centro le garanzie di sicurezza, efficacia e qualità che invece offrono, al pari di un farmaco di marca. Per spazzare via ulteriori dubbi e sottolineare l’alto profilo qualitativo degli equivalenti, ricordiamoci anche come questi seguano un processo di produzione identico a quello dei farmaci di marca, dato che le Norme di Buona Fabbricazione (GMP) e i controlli di qualità sono i medesimi”, afferma Carla Mariotti, Senior Project Manager di Cittadinanzattiva.

Se da una parte, dopo oltre 25 anni di presenza sul mercato italiano, i medicinali unbranded sono ormai entrati nell’esperienza quotidiana dei cittadini, dall’altra, c’è da sottolineare come nell’uso comune parole quali “farmaci equivalenti”, “brevetto”, “eccipienti”, e “principio attivo”, siano spesso utilizzate con scarsa consapevolezza e cognizione di causa. Al riguardo, interessanti i risultati emersi da un’analisi semiotica condotta da Elma Research nell’ambito di un’indagine quali-quantitativa su un campione di pazienti, Medici di Medicina Generale e farmacisti, che ha evidenziato ambiguità semantiche del lessico utilizzato per definire i medicinali equivalenti, in cerca ancora di una propria identità autonoma e valorizzante.

Oggi, infatti, gli equivalenti si identificano per differenza rispetto a qualcos’altro – il farmaco originator -, implicitamente dimostrando una debolezza identitaria, a fronte, però, del riconoscimento dell’efficacia terapeutica e dell’attribuzione di valori importanti, in primis l’accessibilità economica, che per il 73% dei pazienti intervistati significa che “gli equivalenti sono fondamentali perché permettono a tutti di curarsi”, evidenziando, quindi, una funzione chiave di questa categoria di farmaci in linea con la missione del sistema socio-sanitario nazionale.

Le parole, però, giocano un ruolo fondamentale nel costruire significati e creare valore intorno alle cose. Nella considerazione generale dei cittadini, il vocabolo “equivalente” identifica un farmaco che ha lo stesso valore di un altro, pur avendo un costo economico più basso. Ciò crea un cortocircuito semantico nella fase di giudizio, giudizio legato al fatto che siamo immersi in una cultura in cui il denaro è il metro universale per dare “valore” alle cose. E ancora: il termine “generico”, ancora molto diffuso tra i pazienti, contribuisce a creare “disvalore” del farmaco unbranded, in quanto evoca valori negativi di “efficacia generica”, “approssimata” di un prodotto che non agisce in modo ottimale.

Aiutare i cittadini a scegliere con consapevolezza per la propria salute: questo dovrebbe essere l’obiettivo condiviso di tutti gli stakeholder del mondo della salute, dagli operatori sanitari sul territorio quali medici e farmacisti, fino alle Istituzioni, passando per associazioni, aziende e comunicatori. Solo con messaggi chiari, condivisi e autorevoli, è possibile trasferire le conoscenze necessarie perché possa realmente concretizzarsi un processo di empowerment del paziente-cittadino”, sottolinea Roberta Lietti, Director Qualitative Research di Elma Research.

Diversamente da quanto si registra per i farmaci equivalenti, l’Italia detiene il primo posto in Europa per consumo di biosimilari e il secondo per spesa dopo il Regno Unito. Se da una parte, però, a livello nazionale si è assistito a un incremento dei consumi, dall’altra, si rileva una situazione a macchia di leopardo, con una frammentazione regionale, con grandi differenze sia in termini di penetrazione che di prezzi, e con una notevole eterogeneità a seconda del tipo di molecola, a svantaggio di quelle il cui brevetto è di più recente introduzione, a dimostrazione di una certa difficoltà a modificare i comportamenti prescrittivi dei farmaci biologici.

È dimostrato che i biosimilari rappresentino un importante strumento in un’ottica di sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale. Ma la vera sfida è quella di trovare un trade-off tra innovazione e sostenibilità. L’elemento essenziale per garantire questo trade-off è senza dubbio quello di assicurare un quadro programmatico e finanziario che sia certo e stabile, ma anche utilizzare strumenti che permettano il raggiungimento dell’obiettivo della sostenibilità quale il disinvestimento.

“Sicuramente i biosimilari rappresentano l’esempio paradigmatico del disinvestimento. Uno studio recente del EEHTA-CEIS (Mennini FS et al., 2021) ha evidenziato l’impatto di spesa che i biosimilari attualmente disponibili in Italia hanno avuto sulla spesa del SSN tra il 2015 ed il 2020. il modello ha stimato una riduzione di spesa cumulata al 2020 pari a circa € 769 milioni. Da questi risultati emerge con forza come i biosimilari rappresentano uno strumento importante per garantire da una parte il tanto decantato disinvestimento e dall’altra per liberare risorse a supporto di terapie innovative (efficienza allocativa statica). Ancora e conseguentemente, i biosimilari vanno considerati come un’importante ‘opportunità’ in quanto da una parte generano una riduzione dei costi e, soprattutto, dall’altra, permettono di esplorare un nuovo segmento del mercato farmaceutico accompagnata dalla possibilità di curare un numero maggiore di pazienti in trattamento con farmaci biotech a prezzi più accessibili”, spiega Francesco Saverio Mennini, Professore di Economia Sanitaria e Microeconomia, Direttore EEHTA-CEIS, Facoltà di Economia, Università degli Studi di Roma “Tor vergata”.

“Con piacere abbiamo deciso di dare il nostro supporto non condizionato al progetto editoriale, convinti che rientri nel concetto di responsabilità sociale di un’azienda anche promuovere iniziative che consentano di fornire una comunicazione autorevole e qualificata – in questo caso sui farmaci equivalenti e biosimilari – andando a scardinare barriere e luoghi comuni che ancora sussistono, al fine di creare empowerment del paziente e metterlo nelle condizioni di attuare scelte di salute che siano realmente consapevoli” conclude Salvatore Butti, General Manager & Managing Director di EG STADA Group.

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