La recente insorgenza pandemica del Covid-19 ha mostrato, nei Paesi più colpiti quali l’Italia, l’importanza del sistema pubblico sanitario e della ricerca. Ciò, a dispetto della recente direzione verso il servizio privatizzato, o a prestazione, che aveva messo in dubbio l’efficacia del sistema di “welfare state”
Come già recentemente annunciato dal Dottor Rusconi, lo sforzo richiesto dal contagio Covid-19 ha messo alla prova il sistema sanitario pubblico italiano. L’epidemia però non diventa un campo di prova solo per il sistema italiano, anzi pone a confronto diversi sistemi sanitari nel mondo indicando quale possa essere il più congeniale per arginare eventualità di questa natura. È possibile affermare però che in casi pandemici come quello del Covid-19 la sanità globale deve rispondere secondo logica assistenziale, garantendo un percorso di cura a breve e lungo termine, piuttosto che assecondare la logica del mercato e fornire un servizio sanitario a prestazione.
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Prendendo il caso italiano, è possibile osservare come l’adeguatezza e la prontezza delle strutture offerta dal sistema pubblico sanitario siano fondamentali nell’occuparsi dei contagiati che richiedono ospedalizzazioni. Nello specifico, i reparti di terapia intensiva presenti nelle strutture sanitarie del territorio non sarebbero possibili senza lo stanziamento di fondi a favore del sistema sanitario pubblico. Situazione quantomeno caustica, dato il graduale indirizzamento della sanità italiana verso il modello di “cura a prestazione”. In regione Lombardia ad esempio, strutture come ASST-FBF-Sacco di Milano e la Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia, hanno saputo arginare per il momento i focolai nella zona basso-lombarda; eventualmente creando nuovi reparti di terapia ad interim. Presso l’ospedale pavese, al confine con la zona rossa lombarda, sono stati attivati a pieno regime i due reparti di terapie intensive, da circa 32 posti l’uno; il terzo piano della struttura, appartenente ad oncologia, è stato riassegnato a nuovi posti di terapia intensiva; mentre al quarto piano è presente il personale di Pronto Soccorso che collabora con gli infettivologi per gestire la situazione. Ove saturi, i pazienti vengono accolti nel reparto di pneumatologia, mentre per i pazienti con sintomi più lievi sono stati create stanze di terapia sub intensiva, in luogo di posti letto assegnati a terapie standard. In questi casi la collaborazione fra i diversi reparti diventa fondamentale nella gestione dei pazienti, ma anche nello snellimento delle colme stanze di terapia intensiva. Ciò è possibile grazie al sacrificio degli operatori sanitari, ormai operativi fra le 12 e 14 ore al giorno.
Da questo esempio non si evince però un meccanismo di competizione, ma di colborazione fra le diverse strutture sanitarie di diversa natura presenti sul territorio, in pieno regime di coesistenza. È questo il caso del dell’IRCCS Ospedale San Raffaele, struttura sanitaria privata convenzionata, che ha offerto aiuto mandando parte del suo staff medico nella zona rossa basso-lombarda e ha predisposto un reparto di terapia intensiva a disposizione.
Una menzione più che d’onore va spesa anche nel caso della ricerca, che in Italia annaspa per mancanza di fondi. L’isolamento del ceppo italiano di Covid-19 avvenuto presso il Sacco di Milano e lo Spallanzani di Roma è avvenuto grazie all’attività di ricerca condotta dai medici e operatori di laboratorio. Di fronte ad un virus dalla natura pressoché sconosciuta, solo la ricerca scientifica può dissolvere la paura creata dalla mancata conoscenza del fenomeno e presentare una soluzione. Si spera che l’effetto Covid-19 sia di lezione ai futuri governi italiani, nel momento in cui bisognerà decidere la redistribuzione degli stanziamenti dei fondi pubblici.
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Di difficile previsione è il caso Covid-19 in stati che non prevedono un sistema sanitario universalistico. Nel caso degli Stati Uniti, le strutture sanitarie non sono disposte ad accogliere pazienti che non hanno un’assicurazione previdenziale privata. Per il momento il governo americano si è limitato ad aprire la possibilità di screening tramite tampone a tutti i cittadini americani che lo desiderino, come comunicato da Mike Pence in relazione all’apertura universale del Centers for Disease Control and Prevention (CDC). Rimane però fortemente in dubbio la garanzia del servizio di cure a tutti i sintomatici, creando una situazione in cui vi sono pazienti di “Seria A”, aventi l’assicurazione, e di “Serie B”, ovvero quelli sprovvisti. Verosimilmente, le migliori cure e precauzioni verranno offerte dalla Corporate America nei confronti dei suoi lavoratori, ben consci di non potersi permettere di arrestare il proprio processo produttivo per la cattiva salute del proprio staff.
La Germania, che ha un sistema sanitario misto ma efficiente come quello italiano, sulla carta avrà meno difficoltà a gestire la pandemia, correndo “solo” il rischio della saturazione delle strutture ospedaliere come negli altri Paesi. Questo è possibile grazie al risicato deficit pubblico accumulato dalla Germania in questi anni. In pratica, il governo tedesco può agevolmente espandere la spesa pubblica volta ad arginare il Covid-19, cosa non possibile nel caso italiano. Inoltre, la struttura economica tedesca presenta una struttura molto meno frammentaria di quella italiana, che evita dispersione e sprechi nello stanziamento di fondi in multipli canali privati, potendo verosimilmente coprire lo stanziamento di fondi straordinari anti Covid-19 tramite l’erogazione di una quota del reddito degli occupati.
Infine il caso cinese, che è il più particolare perché focolaio originale del Covid-19, ma anche per le sue recenti riforme sanitarie che vanno a confermare la necessità di un modello di welfare state in queste eventualità straordinarie. Il Paese, che nel 2003 aveva direzionato la propria rotta verso un sistema sanitario garantito tramite assicurazione sanitaria privata, ha ripiegato su una copertura sanitaria nazionale garantita a partire dal 2008. La riforma attuata è ancora vigente e dovrebbe realizzarsi entro la conclusione di questo anno. Pechino quindi ha desistito riguardo ad un modello sanitario assoggettato alle logiche di mercato, impegnandosi a fornire una assistenza sanitaria essenziale accessibile per tutta la popolazione cinese. Ottimale era la situazione presente fino al 2012, dove il governo forniva una discreta copertura sanitaria assicurativa al 95% della popolazione.
Si evince da questi casi come sia ancora spendibile nel mondo, globalizzato e interconnesso, di oggi parlare di welfare state e sistema sanitario nazionale. Questo non deve creare un meccanismo di competizione o sostituzione fra sistema sanitario pubblico e privato, ma pone le regole per la possibile e naturale coesistenza dei sistemi, come nel caso della Germania. La priorità nello stanziamento dei fondi pubblici deve essere ancora in direzione della sanità, che non può subire ulteriori tagli come nel caso italiano dove negli ultimi 10 anni la sanità ha subito una decurtazione totale di 37 miliardi di euro. Questo discorso è spendibile e deve valere in ogni democrazia dove, di norma, non si ammette l’esistenza cittadini di “Serie B”, ma è presente l’uguaglianza, anche nell’accesso ai servizi primari e pubblici.
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