di David Lazzari, Presidente nazionale Ordine Psicologi
Molti si chiedono l’evoluzione di questa crisi, certamente non facile da prevedere. È evidente che c’è un diffuso disagio legato non solo alla pandemia ma alle sue conseguenze, sul piano umano, sociale ed economico.
Di fronte ad una situazione complessa abbiamo bisogno di occhiali che ci aiutino a capire la complessità senza complicarla ma neanche banalizzarla. Un rischio reale, perché un conto sono le sintesi, il capire gli intrecci di scenari complessi, altra cosa è scambiare un pezzetto per il tutto e ridurre il reale a semplificazioni rassicuranti ma del tutto fuorvianti.
Oggi registriamo forme di disagio psicosociale molto diffuse che imputiamo ai problemi sanitari ed a quelli socioeconomici. Una idea può essere che eliminando le cause elimineremo questo disagio. È la stessa visione che ha impedito sinora di attivare un sistema pubblico adeguato di psicologia (i 6mila psicologi del SSN per 60 milioni di abitanti non possono essere considerati qualcosa di minimamente adeguato, anche perché mal organizzati, e comunque assenti nella scuola, nei servizi sociali e in altri contesti cruciali).
Peccato che tutti gli indicatori ci dicono che questa idea è semplicemente sbagliata. Basti pensare che i Paesi dove si registrano maggiori indici di disagio psicosociale sono quelli più ricchi per capire che benessere materiale e psicologico non sono la stessa cosa. Gli unici Psicologi che hanno vinto un Nobel lo hanno fatto per gli studi che mostrano che, accanto ai fattori economici che incidono sulla psiche, ci sono fattori psicologici molto importanti che incidono sui vissuti e le scelte legate all’economia. L’interazione è reciproca.
Come lo è nei comportamenti e nel campo della salute. Fattori di tipo psicologico fanno la differenza tra atteggiamenti positivi e responsabili o a rischio per noi stessi e gli altri. Oppure tra buona e cattiva salute: il disagio psicosociale può raddoppiare il rischio di sviluppare una malattia fisica.
Ma il rischio concreto è che non si faccia nulla per aiutare questo disagio psicosociale. Che si ricorra ai soliti sistemi: fare solo chiacchiere e somministrare farmaci, lasciando che la gente si arrangi o si paghi di tasca sua lo Psicologo. Questo per le banalizzazioni di cui sopra ma anche perché il rapporto tra fattori psichici ed effetti nella vita e nella società, pur essendo ben documentato molte volte non è immediato e, ad uno sguardo superficiale, il nesso si perde.
In questa pandemia però tutto si è fermato da un lato e accelerato dall’altra. La dimensione psicologica è emersa nella sua importanza ed incidenza. I problemi delle persone e del Paese sono davvero tanti ma proprio per questo cerchiamo di mettere in campo interventi che possono intercettare e sgonfiare il malessere, impedire che degeneri, che produca costi maggiori. Noi abbiamo fatto proposte precise, fattibili, basate su analisi e dati, per creare una rete di servizi psicologici, non siamo alle rivendicazioni che lasciano il tempo che trovano.
L’interdipendenza, positiva o negativa, tra la dimensione psicologica e altri aspetti della vita (funzionamento corporeo, funzionamento sociale, livelli di soddisfazione, ecc.) è divenuta più chiara, il 65,7% degli italiani vedono l’aspetto psicologico come fondamentale per la salute e la cura (Censis 2018) e 8 italiani su 10 ritengono il ruolo dello Psicologo cruciale nell’attuale situazione (Istituto Piepoli 2020).
Peccato che gli economisti italiani non abbiano approfondito gli studi della London School of Economics che hanno portato il Governo inglese a stanziare decine milioni di sterline per dare aiuto psicologico alla popolazione, perché gli studi dicono che questi interventi non solo si ripagano da soli ma producono benefici per la società e l’economia.
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