Egregio direttore, erano tutti, in realtà, orgogliosi quei semplici e immaginari cittadini che frequentavano con piena fiducia gli ambienti di quella struttura ospedaliera dove avevano trovato sempre risposte certe e soluzioni terapeutiche aggiornate verso i problemi sanitari che si presentavano a carico del loro stato di salute. Così come altamente fiero era allo stesso tempo […]
Egregio direttore,
erano tutti, in realtà, orgogliosi quei semplici e immaginari cittadini che frequentavano con piena fiducia gli ambienti di quella struttura ospedaliera dove avevano trovato sempre risposte certe e soluzioni terapeutiche aggiornate verso i problemi sanitari che si presentavano a carico del loro stato di salute. Così come altamente fiero era allo stesso tempo il corpo medico tutto nel lavorare in quel contesto ospedaliero che era stato definito essere “sicuro” fin dall’avvio della sua attività, facendone di questo fine l’obiettivo principale e vero della missione cui la struttura ospedaliera stessa era stata ed è tutt’ora destinata.
Vi era, però, nel ben organizzato contesto di questa sicurezza, solo una nota che sapeva di vistosa stonatura e di disturbo immotivato verso quanto, con evidenti e non comuni sforzi, si stava realizzando per arginare e gestire gli effetti della pandemia che era occorsa.
Era stata, questa nota, configurata dall’utenza nel cosiddetto “paradosso del green”. Un paradosso ben evidente ed inquietante al tempo stesso, perché tendeva a ledere l’immagine e la serietà operativa della struttura assistenziale di cui stiamo raccontando, rischiando al tempo stesso di dequalificare la figura di quel modo di “fare” il medico nel contesto di un sistema sanitario che si fregiava essere “ sicuro”. Perché, portare quella divisa verde, che abitualmente è di uso dei chirurghi che lavorano nelle sale operatorie, da parte di chi per ragioni di praticità o per comodità la veste in modo non protetto dal camice bianco nelle ore che sono di lavoro ma destinate ad altri ambienti che non sono di pertinenza propriamente chirurgica, altro non è che un’offesa al rispetto che, invece, l’essere medico comporta e alla responsabilità che deve sempre essere distintiva dell’arte medica che si sta esercitando o professando.
Preoccupante, ahimè, questo paradosso perché è la stessa figura professionale medica che, così facendo, rischia di dequalificare proprio se’ stessa attraverso la mancata osservazione di comportamenti deontologici corretti e che spesso non sembrano essere visti come illegittimi sul piano della disciplina. Sì, proprio quei comportamenti che vedono figure mediche, il più delle volte giovani, aggirarsi tra i corridoi e i locali ospedalieri senza il rispetto di quelle norme definite della “vestizione” che ne caratterizzano, poi, l’osservanza dei più corretti principi dell’igiene, oltre al rispetto di una specifica, solida etichetta. Amara constatazione, questa, perché ci ricorda tutto ciò su cui chi esercita la professione medica ha giurato nel segno di quei valori, primi tra questi l’impegno di essere garante di un codice etico e di decoro con cui esprimersi nel proprio ruolo professionale.
Finché non si daranno regole ben precise che sanzionino chi manca di rispetto non osservando un corretto e specifico comportamento richiesto dalla figura professionale che si rappresenta, allora ogni campagna informativa, educativa, così come ogni azione organizzativa tesa ad individuare e ad arginare la diffusione di qualsivoglia pandemia, risulterà senza alcun dubbio poco efficace.
Non solo, ma se non si agirà quanto prima possibile nell’auspicata direzione, ciò che, ovvio a dirsi, ne uscirà indebolito nella sua piena dignità sarà il senso carismatico che ancora appartiene alla figura medica che sarà destinata a subire sempre di più, nel corso del suo lavoro soprattutto pubblico, offese verbali e aggressioni fisiche, oggigiorno così preoccupanti, appunto, per la loro inaspettata e rapida escalation.
Vista dal di fuori, sarebbe indubbiamente questa, ma neanche vorremmo immaginarla, la più violenta aggressione che possa essere rivolta a tutto il corpo medico! Un’aggressione che sarebbe assolutamente inaccettabile perché avrebbe il sapore di una delusione, anzi di una sconfitta morale vera e propria!
Ecco perché ad ogni camice bianco si deve chiedere oggigiorno ,più che mai, di obbedire a quel forte senso di corporativismo che rifacendosi al giuramento di Ippocrate unisce in modo forte e indistruttibile la categoria medica tutta, a difesa dei suoi presupposti ed obiettivi e che non possono, non devono essere per niente scalfiti da chi vuole, viceversa, privarli di ogni significato.
L’auspicio è che anche le istituzioni competenti siano tanto sensibili quanto attente alla gestione risolutiva di tutte quelle problematiche qual è quella, per esempio, appena portata alla ribalta in questa sede, e che diano piena fiducia nel sapere spezzare proprio ab initio ogni fenomeno che possa ledere quell’immagine di dignità che deve essere propria di chi esercita la professione medico-chirurgica.
A cominciare dal debellare quell’imbarazzante paradosso, il cosiddetto paradosso del “green”, certamente di piccola portata ma sicuramente di profondo significato, che è stato oggetto di queste semplici, ma dovute nostre riflessioni.
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