Si svolgerà il 28 giugno la giornata mondiale dedicata alla fenilchetonuria (PKU), malattia metabolica che in Italia, considerate tutte le varianti, colpisce 1 bambino ogni 2.581 nati. Interessa circa 50.000 persone nel mondo e rappresenta la malattia rara metabolica più diffusa nel nostro Paese. Se fino a 20 anni fa la PKU era una causa […]
Si svolgerà il 28 giugno la giornata mondiale dedicata alla fenilchetonuria (PKU), malattia metabolica che in Italia, considerate tutte le varianti, colpisce 1 bambino ogni 2.581 nati. Interessa circa 50.000 persone nel mondo e rappresenta la malattia rara metabolica più diffusa nel nostro Paese.
Se fino a 20 anni fa la PKU era una causa di disabilità anche gravissima, con l’introduzione dello screening neonatale – reso obbligatorio nel 1992 – oggi la malattia viene diagnosticata alla nascita e tenuta sotto controllo per tutta la vita con uno stretto regime alimentare a basso contenuto di proteine: evitare del tutto la carne, il pesce, le uova e i formaggi. Sono da limitare anche il pane, la pasta e i cereali, a seconda della specifica tolleranza di ogni paziente per i pazienti con la forma più severa della malattia, mentre sono ammesse frutta e verdura, sebbene in quantità precise. La dieta deve essere poi integrata con una fonte proteica a base di miscele amminoacidiche prive di fenilalanina.
Presso l’Istituto di Neuropsichiatria Infantile (ora U.O.C.) dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico Umberto I di Roma la storia dello screening neonatale per la fenilchetonuria iniziò già nel 1974. “Oggi, dire che una malattia genetica può essere controllata sembra banale, ma è con la fenilchetonuria che si è dimostrato che un intervento ambientale, come una variazione dietetica, può modificare il decorso di una malattia – spiega il direttore dell’Istituto, il professor Vincenzo Leuzzi, Ordinario di Neuropsichiatria Infantile all’Università La Sapienza di Roma – . Prima dello screening neonatale la fenilchetonuria era la più frequente causa metabolica di disabilità intellettiva; ora, grazie allo screening seguendo una dieta specifica i bambini possono condurre una vita normale. Al momento, presso il nostro Centro, abbiamo in carico circa 200 pazienti, sia di età pediatrica che adulti, ma nel nostro database sono presenti le cartelle cliniche di altri 800 pazienti che sono stati in cura qui nel corso degli anni”.
Le persone affette da fenilchetonuria non sono capaci di metabolizzare la fenilalanina, un aminoacido essenziale presente in tutte le proteine: la dieta è perciò necessariamente rigida. “Si tratta di una dieta con ridotto apporto di fenilalanina e quindi di proteine naturali, che deve essere personalizzata in funzione della tolleranza individuale alla fenilalanina – prosegue il professore – vale a dire l’apporto dietetico di fenilalanina compatibile con il mantenimento di valori ottimali dell’aminoacido nel sangue”.
Seguire la dieta è un impegno costante, del quale si occupano prima i familiari e poi il paziente stesso, per tutta la vita, e ci sono alcune fasi in cui risulta particolarmente complicato. La responsabilizzazione del paziente e la presenza di un’équipe multidisciplinare: per la dottoressa Maria Teresa Carbone, U.O.S. Malattie Metaboliche e Rare dell’A.O.R.N. Santobono Pausillipon di Napoli, sono queste le due carte vincenti per la gestione di un paziente affetto da fenilchetonuria. “Le difficoltà arrivano soprattutto nella fase della scolarizzazione, e poi nell’adolescenza, ovvero quando il bambino e poi il ragazzo non si confronta più solo con la famiglia e socializza sempre di più con i coetanei. Sentirsi diverso dagli altri in questa fase – spiega Carbone – diventa un problema. Il paziente, pertanto, deve arrivare all’adolescenza correttamente responsabilizzato, in modo che continui ad osservare la dieta e a farsi seguire dai Centri di riferimento”, prosegue la pediatra. “È molto importante anche l’informazione, come quella che facciamo sulla fenilchetonuria in gravidanza: da poco una mia paziente, accompagnata con attenzione in tutto il percorso, ha partorito senza problemi una bambina perfettamente sana”.
È facile immaginare a quante rinunce siano costrette le persone affette da PKU: per agevolare la loro compliance alla terapia, l’industria ha fatto negli ultimi anni dei passi da gigante nella produzione di alimenti speciali a loro dedicati: oltre a bevande, succhi e cibi aproteici creati appositamente per chi ha questa patologia, occorre integrare la dieta con speciali miscele di amminoacidi privi di fenilalanina e ci sono ora molte alternative per le diverse fasce di età. In passato le caratteristiche organolettiche di questi prodotti erano piuttosto sgradevoli; attualmente la qualità e la gradevolezza delle miscele sono nettamente migliorate. Nel neonato e nel lattante il problema dell’odore e del sapore non si pone, perché il senso del gusto non è ancora sviluppato e quindi si adattano facilmente; per tutte le altre fasce d’età, invece, è molto più difficile.
Gli esperti – avverte Leuzzi – sconsigliano di cedere agli ‘sgarri’, perché l’effetto neurotossico della fenilalanina non è immediato ma è cumulativo e si manifesta non solo nei bambini in fase di crescita ma anche nell’età adulta: un consiglio diretto in particolare ai pazienti dei Paesi mediterranei, poiché in quelli del Nord sembra che seguire la dieta alla lettera sia più semplice. Il rilascio prolungato di questi alimenti speciali, inoltre, mima e rispecchia maggiormente l’assorbimento fisiologico degli aminoacidi”.
L’ultima notizia importante che riguarda questa malattia è proprio di pochi giorni fa: l’approvazione, anche in Europa, della terapia enzimatica sostitutiva. “Un’opzione terapeutica che riguarda solo alcuni pazienti adulti selezionati, affetti dalle forme più gravi, e certamente non le donne in gravidanza”, conclude il professor Leuzzi. Nel futuro inoltre, per questi pazienti, potrebbe prospettarsi anche la speranza della terapia genica.