Come evidenziato dagli organi di informazione, da domenica 5 aprile in Lombardia è in vigore, verso tutti i cittadini che, nel rispetto delle precedenti misure di contenimento (il c.d. “distanziamento sociale”), si spostino per giusta causa, l’obbligo, fino al 13 aprile, di indossare una protezione su naso e bocca – adesso è sufficiente il foulard […]
Come evidenziato dagli organi di informazione, da domenica 5 aprile in Lombardia è in vigore, verso tutti i cittadini che, nel rispetto delle precedenti misure di contenimento (il c.d. “distanziamento sociale”), si spostino per giusta causa, l’obbligo, fino al 13 aprile, di indossare una protezione su naso e bocca – adesso è sufficiente il foulard o la sciarpa – «per proteggere sé stessi e gli altri». È quanto prevede la nuova ordinanza del governatore Attilio Fontana.
Come molte altre misure adottate nella attuale contingenza emergenziale, anche questa sta destando accesi ed aperti dibattiti, anche in seno alle più alte istituzioni, sia politiche che scientifiche (mascherine vs distanza; costi speculativi, potenzialità produttiva e disponibilità capillare dei dispositivi).
Senza alcuna intenzione di fomentare queste od altre analoghe tesi, e tenendo ben presente che siamo di fronte ad una emergenza mai prima sperimentata nella storia dell’umanità, vorrei sottoporre, in merito a codesta ultima misura, alcuni motivi di mera perplessità:
Assodato che, in generale (quindi escludendo l’ambito sanitario-ospedaliero), gli esperti concordino sulla necessità di far indossare i DPI ai soggetti infetti, ma non sulla utilità degli stessi per le persone sane, visto che, come anche oggi afferma il Presidente del Consiglio Superiore di Sanità Franco Locatelli,«c’è grande dibattito per quel che riguarda anche la comunità scientifica, perché è un argomento sul quale non esistono evidenze fortissime»;
ma visti pure:
– alcuni recentissimi studi empirici effettuati tramite la tecnologia digitale, recentemente condotti dalla Japanese Assosiation for Infectious Disease, che dimostrano la probabilità di trasmissione del virus anche durante una conversazione fatta ad una certa distanza, ed anche non soltanto tramite ordinario mutuo aerosol, ma anche con le c.d. «particelle micrometriche» (report trasmesso dalla televisione giapponese NHK – japan broadcasting corporation);
– la memoria storica, che ricorda di come ogni indumento di vestizione sanitaria, anche di sala operatoria o terapia intensiva, cappellini e mascherine comprese, precedentemente all’avvento dei nuovi materiali compositi attualmente utilizzati, fosse prodotto in fibra naturale, quindi lavabile e sterilizzabile (ne esistono ancora oggi in commercio),
aveva già destato lo stupore di alcuni, che il Ministero della Salute italiano avesse indicato sul suo come fake news che «Le mascherine fatte in casa proteggono dal nuovo coronavirus», pure fondando tale affermazione su un criterio di ignoranza («capacità protettiva non nota») e non di certezza scientifica. Indicazione poi prontamente cancellata dal sito del Ministero.
Certamente se tale informazione non fosse stata subito tacciata di “fakenewsismo”, ma al contrario fosse stata data come “cautela utilizzabile”, non soltanto si sarebbe potuto limitare il contagio, ma si sarebbero evitate varie rappresentazioni di speculazione, come il video divenuto virale nei social, che mostra un laboratorio fuorilegge ove si producevano mascherine senza alcun criterio di ordinaria pulizia, oltreché di igiene e profilassi.
D’altronde, la parola chiave di questo periodo è “prudenza”: lo afferma anche Stefano Zamagni, professore dell’università di Bologna alla Johns Hopkins University e scrittore: «La pandemia del Covid-19 che ci sta perseguitando, ci induce a riscoprire il senso proprio della prudenza, che non è quello dell’atteggiamento di chi è pavido o di chi cede alla paura, esattamente il contrario: la prudenza è la capacità di guardare lontano, e di prenderne le misure: bisogna che capiamo che di fronte alle possibilità che la situazione attuale, di una società come si suol dire, “post moderna” ci pone, l’atteggiamento di chi guarda al breve termine, al c.d. “cortotermismo”, porta ad esiti infausti».
Viene da chiedersi, pertanto, se chi si sia precipitato a fare tale affermazione (ma si sia anche precipitato ora, subito a depennarla, come altre simili meriterebbero) abbia mai analizzato la Comunicazione Europea sul principio di precauzione, in Italia recepito all’art.1 della l. 241/90: «L’incertezza scientifica non è sufficiente per escludere l’adozione dei provvedimenti preordinati alla tutela della salute».