Vorrei ringraziare il dott. Maurizio Martinelli, Segretario Regionale UNPISI Lazio, per aver portato alla nostra attenzione quanto riferito nel suo ultimo contributo, che pur tuttavia pare in leggera polemica con quanto precedentemente rappresentato in queste pagine. Pertanto, a controdeduzione, vorrei anzitutto far notare che l’idea – addirittura reputata “folle” – dal Martinelli, di protezione con […]
Vorrei ringraziare il dott. Maurizio Martinelli, Segretario Regionale UNPISI Lazio, per aver portato alla nostra attenzione quanto riferito nel suo ultimo contributo, che pur tuttavia pare in leggera polemica con quanto precedentemente rappresentato in queste pagine.
Pertanto, a controdeduzione, vorrei anzitutto far notare che l’idea – addirittura reputata “folle” – dal Martinelli, di protezione con un dispositivo, pur definibile “attualmente non omologato”, proveniva da specifica ordinanza n. 521 del 04/04/2020 della Regione Lombardia, nella persona del governatore Attilio Fontana, che, giusto caso, è stato precedentemente assistito da una delegazione Cinese guidata dal vicepresidente della Cri locale, Sun Shuopeng.
In secondo luogo, ove certamente non si parlava canzonatoriamente di alquanto improbabili protezioni, come quelle di un cd davanti alla faccia, ma, come testualmente riscontrabile: ossia di «adottare tutte le misure precauzionali consentite ed adeguate a proteggere se stesso e gli altri dal contagio, utilizzando la mascherina o, in subordine, qualunque altro indumento a copertura di naso e bocca»; che la medesima raccomandazione era stata ragionevolmente indicata come «cautela utilizzabile», sempre nel caso non si potesse far uso dei presidi sanitari; che, in ogni caso – vale la pena ricordarlo – sono stati oggetto di numerose speculazioni di diverso tipo.
Ciò che sarebbe, certamente non “folle”, ma semmai imprudente, e forse anche stupido, sarebbe utilizzare un metodo alternativo laddove si disponga del dispositivo appropriato.
Infine mi piace far notare che una ennesima convergenza verso un utilizzo “possibile” di tali strumenti, definibili “tradizionali”, che nelle intenzioni già riproposte restano comunque sempre un mezzo alternativo, di rimedio eventuale, quale quello delle mascherine in tessuto “home made”, proviene da altra autorevole voce: il Direttore Scientifico dell’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive “Spallanzani” di Roma, dott. Giuseppe Ippolito, che intervistato da Sky TG 24 il 15 aprile u.s., ha ribadito che: «le mascherine sono sicuramente un sistema che, senza prova di efficacia, in ogni caso ha una esperienza storica; anche le mascherina di tela rilavabili che uno può mettere dentro la lavatrice di casa probabilmente potranno essere utili; il valore della vita, il valore di evitare di infettare gli altri, di evitare nuove catene di trasmissione è l’unico sistema che noi abbiamo per fermare l’epidemia. Questa epidemia si sta gestendo con gli stessi metodi del Medioevo, il distanziamento sociale: se non capiamo questo non andremo da nessuna parte».
Nel merito del citato studio, che si proponeva proprio di «esaminare le maschere fatte in casa come alternativa alle maschere commerciali» (ossia quelle chirurgiche, considerate il tipo di maschera che molto probabilmente sarebbe – come è – maggiormente utilizzato dal pubblico in generale), che ha coinvolto soltanto 21 volontari che hanno costruito le maschere secondo un protocollo predefinito, fermo restando che, sempre parafrasando il direttore Ippolito, «i numeri piccoli soddisfano solo chi propone lo studio, non contribuiscono alla scienza perché i risultati non sono significativi»; va correttamente inquadrato quanto segue:
Concludendo, premesso che non è la chimerica eliminazione del rischio primario l’obiettivo in questione, ma proprio la riduzione della probabilità di infezione; che servirebbero una serie di studi condotti secondo i più collaudati canoni scientifici di imparziale coerenza per caratterizzare la fattispecie (una rondine non fa primavera) e che l’utilizzo di detti sistemi alternativi non è certamente indirizzato a «coloro che potrebbero potenzialmente, ad esempio, essere a rischio professionale dal contatto ravvicinato o frequente con pazienti sintomatici», ma verso la popolazione in generale, e viste le stesse esplicite evidenze dello studio a favore e non contro un uso di cautela di un dispositivo alternativo e non di sostituzione, paiono alquanto contraddittorie le riferite ultime conclusioni in fedele ricalco dallo studio de quo; e premesso anche che discussioni di carattere serio non dovrebbero contemplare esagerazioni (follia), ironie, o gratuiti sarcasmi iconografici da fumetto della domenica, il monito alla prudenza, che nulla, ma proprio nulla ha a che vedere con qualsivoglia figurata follia, sostanziato nell’invocato dettato normativo del principio di precauzione, oltre ad essere già stato condiviso da numerose menti autorevoli, ritrova, sempre citando il dott. Ippolito, una ulteriore conferma: «Prudenza e voce alla scienza».
Piace aggiungere: per chi sappia costruire vera scienza, per chi la scienza sa leggere con obbiettività ed imparzialità.
Se l’Italia stia affrontando tali abnormi difficoltà per la gestione della corrente crisi pandemica, in pieno contrasto con altre realtà nazionali, ove evidentemente sia le conseguenze epidemiche sia la ripartenza appaiono temi di effettiva maggiore disinvoltura, ci sarà pure più di una motivazione.