Contributi e Opinioni 19 Aprile 2020 11:44

Mascherine home made: qual è la vera scienza?

Vorrei ringraziare il dott. Maurizio Martinelli, Segretario Regionale UNPISI Lazio, per aver portato alla nostra attenzione quanto riferito nel suo ultimo contributo, che pur tuttavia pare in leggera polemica con quanto precedentemente rappresentato in queste pagine. Pertanto, a controdeduzione, vorrei anzitutto far notare che l’idea – addirittura reputata “folle” – dal Martinelli, di protezione con […]

di Calogero Spada, Specialista TSRM in Neuroradiologia

Vorrei ringraziare il dott. Maurizio Martinelli, Segretario Regionale UNPISI Lazio, per aver portato alla nostra attenzione quanto riferito nel suo ultimo contributo, che pur tuttavia pare in leggera polemica con quanto precedentemente rappresentato in queste pagine.

Pertanto, a controdeduzione, vorrei anzitutto far notare che l’idea – addirittura reputata “folle” – dal Martinelli, di protezione con un dispositivo, pur definibile “attualmente non omologato”, proveniva da specifica ordinanza n. 521 del 04/04/2020 della Regione Lombardia, nella persona del governatore Attilio Fontana, che, giusto caso, è stato precedentemente assistito da una delegazione Cinese guidata dal vicepresidente della Cri locale, Sun Shuopeng.

In secondo luogo, ove certamente non si parlava canzonatoriamente di alquanto improbabili protezioni, come quelle di un cd davanti alla faccia, ma, come testualmente riscontrabile: ossia di «adottare tutte le misure precauzionali consentite ed adeguate a proteggere se stesso e gli altri dal contagio, utilizzando la mascherina o, in subordine, qualunque altro indumento a copertura di naso e bocca»; che la medesima raccomandazione era stata ragionevolmente indicata come «cautela utilizzabile», sempre nel caso non si potesse far uso dei presidi sanitari; che, in ogni caso – vale la pena ricordarlo – sono stati oggetto di numerose speculazioni di diverso tipo.

Ciò che sarebbe, certamente non “folle”, ma semmai imprudente, e forse anche stupido, sarebbe utilizzare un metodo alternativo laddove si disponga del dispositivo appropriato.

Infine mi piace far notare che una ennesima convergenza verso un utilizzo “possibile” di tali strumenti, definibili “tradizionali”, che nelle intenzioni già riproposte restano comunque sempre un mezzo alternativo, di rimedio eventuale, quale quello delle mascherine in tessuto “home made”, proviene da altra autorevole voce: il Direttore Scientifico dell’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive “Spallanzani” di Roma, dott. Giuseppe Ippolito, che intervistato da Sky TG 24 il 15 aprile u.s., ha ribadito che: «le mascherine sono sicuramente un sistema che, senza prova di efficacia, in ogni caso ha una esperienza storica; anche le mascherina di tela rilavabili che uno può mettere dentro la lavatrice di casa probabilmente potranno essere utili; il valore della vita, il valore di evitare di infettare gli altri, di evitare nuove catene di trasmissione è l’unico sistema che noi abbiamo per fermare l’epidemia. Questa epidemia si sta gestendo con gli stessi metodi del Medioevo, il distanziamento sociale: se non capiamo questo non andremo da nessuna parte».

Nel merito del citato studio, che si proponeva proprio di «esaminare le maschere fatte in casa come alternativa alle maschere commerciali» (ossia quelle chirurgiche, considerate il tipo di maschera che molto probabilmente sarebbe – come è – maggiormente utilizzato dal pubblico in generale), che ha coinvolto soltanto 21 volontari che hanno costruito le maschere secondo un protocollo predefinito, fermo restando che, sempre parafrasando il direttore Ippolito, «i numeri piccoli soddisfano solo chi propone lo studio, non contribuiscono alla scienza perché i risultati non sono significativi»; va correttamente inquadrato quanto segue:

  1. Che la premessa generale – degli stessi ricercatori – sia proprio quella di ovviare alla teorizzata (ed effettivamente riscontrata) realtà che «il pubblico avrà un accesso limitato al tipo di protezione respiratoria di alto livello indossata dagli operatori sanitari»;
  1. Che, come già riferito dal Presidente del Consiglio Superiore di Sanità Franco Locatelli, e confermato nel medesimo studio, per quanto riguardi l’utilizzo della maschera facciale nelle aree pubbliche da membri del pubblico «l’evidenza di benefici proporzionati dall’uso diffuso di maschere per il viso non è chiara»;
  1. Che lo studio – eseguito su dispositivo meccanico (c.d. “scatola della tosse”) – si rivolgeva alla sola protezione attiva (microrganismi espulsi), mentre l’ordinanza Lombarda riguardava l’uso generale della protezione (prevenzione sia dell’inalazione di goccioline infettive sia la successiva espirazione e diffusione), ma con particolare ed ovvio riferimento alla protezione passiva, laddove la medesima citata fonte indichi che la mascherina fatta in casa «sarebbe comunque meglio di nessuna protezione» e che «sia la maschera chirurgica che la maschera fatta in casa hanno ridotto il numero totale di microrganismi espulsi durante la tosse»;
  2. Che analoghi precedenti studi sull’efficacia e l’affidabilità delle maschere per il viso si sono concentrati sul loro utilizzo da parte degli operatori sanitari e non della popolazione in generale;
  3. Che andrebbe più opportunamente valutato il fattore del “corretto uso” di qualsivoglia dispositivo: è completamente inutile indossare una mascherina (anche chirurgica o “superiore”) se poi, in assenza di opportuno addestramento, non si modelli la parte metallica sul naso per una perfetta adattabilità al profilo cutaneo, la si indossi in modo non attillato, o si lascino narici e/o bocca scoperti (basti guardare con maggiore attenzione qualsiasi servizio giornalistico televisivo di questi giorni per rendersene conto);
  4. Che le evidenze riscontrate non sono certamente “contro” un uso (o, addirittura, verso una sua insensatezza) di determinati metodi alternativi (migliori materiali utilizzati: sacchetti per aspirapolvere, strofinacci e magliette di cotone) – una protezione dal 70% all’85%,  contro il massimo di performance dell’88% ca. delle mascherine chirurgiche è sempre – e di gran lunga – meglio che niente; altri contributi che citano il medesimo studio, infatti, indicano come le maschere di cotone fatte in casa possano essere non soltanto «piuttosto efficaci come alternative», visto che anche lo studio originale indichi che «entrambe le maschere hanno ridotto significativamente il numero di microrganismi espulsi dai volontari. La federa e la t-shirt in cotone 100% sono risultati i materiali domestici più adatti per una maschera improvvisata», ma anche, per certi altri aspetti, addirittura vantaggiose, proprio per il loro carattere di riutilizzabilità e di ri-sterilizzabilità; infine esse vengono indicate come «l’opzione probabilmente migliore per aiutare a mantenere garantite le forniture mediche, tanto più necessarie nelle mani dei professionisti sanitari impegnati in prima linea».

Concludendo, premesso che non è la chimerica eliminazione del rischio primario l’obiettivo in questione, ma proprio la riduzione della probabilità di infezione; che servirebbero una serie di studi condotti secondo i più collaudati canoni scientifici di imparziale coerenza per caratterizzare la fattispecie (una rondine non fa primavera) e che l’utilizzo di detti sistemi alternativi non è certamente indirizzato a «coloro che potrebbero potenzialmente, ad esempio, essere a rischio professionale dal contatto ravvicinato o frequente con pazienti sintomatici», ma verso la popolazione in generale, e viste le stesse esplicite evidenze dello studio a favore e non contro un uso di cautela di un dispositivo alternativo e non di sostituzione, paiono alquanto contraddittorie le riferite ultime conclusioni in fedele ricalco dallo studio de quo; e premesso anche che discussioni di carattere serio non dovrebbero contemplare esagerazioni (follia), ironie, o gratuiti sarcasmi iconografici da fumetto della domenica, il monito alla prudenza, che nulla, ma proprio nulla ha a che vedere con qualsivoglia figurata follia, sostanziato nell’invocato dettato normativo del principio di precauzione, oltre ad essere già stato condiviso da numerose menti autorevoli, ritrova, sempre citando il dott. Ippolito, una ulteriore conferma: «Prudenza e voce alla scienza».

Piace aggiungere: per chi sappia costruire vera scienza, per chi la scienza sa leggere con obbiettività ed imparzialità.

Se l’Italia stia affrontando tali abnormi difficoltà per la gestione della corrente crisi pandemica, in pieno contrasto con altre realtà nazionali, ove evidentemente sia le conseguenze epidemiche sia la ripartenza appaiono temi di effettiva maggiore disinvoltura, ci sarà pure più di una motivazione.

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