Dai medici di CIMO Lab
Siamo stati chiamati eroi. Siamo stati applauditi sui balconi di tutta Italia. Ci sono stati dedicati murales, disegni, cartelloni, canzoni, poesie e preghiere. Siamo stati ringraziati, più volte, da tutte le Istituzioni del Paese, che ci hanno riservato lunghi applausi e standing ovation. Due anni dopo, siamo di nuovo vittime di aggressioni, minacce e accuse ingiustificate. Tutto quello che abbiamo offerto al Paese nel suo momento più drammatico degli ultimi 80 anni sembra essere dimenticato. La nostra guerra contro il virus non è ancora finita, ma siamo già veterani abbandonati a noi stessi. Dimenticati.
Noi, che abbiamo affrontato il Covid-19 in prima linea, senza conoscenze né difese né armi, abbiamo giurato di non dimenticare quello che abbiamo visto in questi due anni di emergenza. Abbiamo giurato di non dimenticare gli occhi di chi ci guardava in cerca di ossigeno, di chi ci implorava di scrivere l’ultimo messaggio ai propri figli prima di essere intubato, di chi riversava su di noi le ultime parole e gli ultimi, deboli e affannati, respiri.
Abbiamo giurato di non dimenticare la paura di tornare a casa e di contagiare i nostri familiari. L’odore di disinfettante davanti la porta, le notti insonni, gli occhi rossi di pianto, la stanchezza di turni di lavoro infiniti, la fame il caldo e la sete che si provano dentro le tute bianche da cui non si può scappare. Abbiamo giurato di non dimenticare i colleghi che non ce l’hanno fatta, i pazienti che abbiamo perso, le bare accatastate in ospedale. Abbiamo giurato di non dimenticare la gioia provata la prima volta che abbiamo chiuso il reparto Covid e la speranza quando sono arrivati i primi vaccini, quando la scienza sembrava finalmente avercela fatta.
Noi, medici e professionisti sanitari, abbiamo giurato di non dimenticare. E abbiamo messo nero su bianco le nostre impressioni e le nostre sensazioni scrivendo un libro in cui abbiamo raccontato le nostre storie. Lo abbiamo intitolato proprio così, “Giuro di non dimenticare”, e lo abbiamo posizionato accanto al Giuramento di Ippocrate.
Dopo due anni tanto è cambiato. Abbiamo più conoscenze, più difese e più armi. La stanchezza, la paura e l’odore perenne di disinfettante sono sempre gli stessi. È il modo in cui tanti pazienti si rapportano con noi, a non esserlo più.
Alcune delle mani che ci applaudivano hanno distrutto i nostri Pronto soccorso e le nostre ambulanze. Mani che si chiudono in pugni e che scaricano su di noi la rabbia per eventi di cui non possiamo avere colpa. I canti si sono trasformati troppo spesso in insulti, urlati in corsia o vomitati sui social network. Non riceviamo più disegni o poesie, ma lettere di avvocati che chiedono risarcimenti e ci portano in tribunale. Le preghiere per la nostra salute si sono trasformate in minacce per ottenere il certificato di esenzione dal vaccino o per rifiutare cure salvavita in nome delle teorie più strampalate.
Non abbiamo mai condiviso la parola “eroe”. Non capivamo i canti, le dediche, i disegni. Ci facevano piacere, com’è ovvio, ma in fondo facevamo solo il nostro mestiere. Quello che abbiamo giurato di fare, appunto. E allora non vogliamo certo chissà quali onori. Ma il rispetto e la riconoscenza sì. Li pretendiamo.
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