di Maurizio Ferri, Coordinatore scientifico Società italiana di medicina veterinaria preventiva (SIMeVeP)
La nuova variante Delta di SARS-CoV-2, identificata per la prima volta ad ottobre 2020 in India e segnalata ad oggi in 98 paesi, sta disegnando una nuova fase della pandemia Covid-19 nell’era post-vaccinazione a causa di una trasmissibilità aumentata dal 40 al 60% rispetto alla variante Alfa (B1.1.7 o inglese), capacità di evadere il sistema immunitario e resistenza ai vaccini. É divenuta la variante più comune in India, Gran Bretagna, Stati Uniti, Russia, Indonesia, Vietnam e Australia e sta gradualmente sostituendo le varianti precedenti in molti paesi europei. In Gran Bretagna, a metà giugno 2021, ha rimpiazzato quasi totalmente (90%) la variante Alfa, mentre negli Stati Uniti secondo stime del CDC rappresenta il 51,7% delle infezioni da coronavirus.
Ma ciò che preoccupa è il dato inglese del Public Health England (PHE) secondo cui nelle popolazioni non vaccinate, in assenza di precauzioni, il numero riproduttivo R della variante Delta può arrivare fino a otto (un fattore chiave che spiega la catastrofica epidemia indiana degli ultimi mesi). Il tasso di letalità in caso di infezione è di circa lo 0,1%, simile all’influenza stagionale: un pericolo comunque gestibile, mentre uno studio scozzese pubblicato su Lancet ha dimostrato un aumento del 85% del rischio di ospedalizzazione della variante Delta rispetto alla Alfa.
I sintomi più frequentemente notificati da soggetti con infezione Delta rispetto alle altre varianti, desunti da una App britannica chiamata Zoe Global, sono simili al comune raffreddore, con mal di testa, mal di gola, rinorrea e starnuti frequenti, che portano a scambiare il Covid-19 per febbre da fieno.
I modelli matematici attribuiscono il vantaggio di crescita della variante Delta alla combinazione di aumentata trasmissibilità (es. presenza di cariche virali elevate nelle vie aeree delle persone infette) ed evasione immunitaria, entrambe supportate da risultati di test di laboratorio.
L’ECDC stima che la prevalenza della variante Delta nell’UE/SEE passerà dal 70% all’inizio di agosto 2021 al 90% entro la fine di agosto e prevede che la riduzione graduale del 50% delle misure non farmacologiche (es. mascherina e distanziamento sociale) durante i mesi estivi, in assenza di coperture vaccinali complete, potrebbe causare entro il 1 settembre 2021 un aumento significativo dell’incidenza di SARS-CoV-2 in tutte le fasce d’età, soprattutto in quelle < 50 anni, con incrementi dei ricoveri ospedalieri e decessi simili a quelli avuti nell’autunno del 2020.
La variante Delta in circa un quarto dei casi sembra colpire anche i soggetti vaccinati. I dati sono ricavati da uno studio del PHE di maggio 2021 che indica una protezione del 33% con una singola dose di vaccino Pfizer ed Astrazeneca e 90% con le due dosi. Inoltre due dosi di entrambi i vaccini proteggono in maniera significativa nei confronti delle ospedalizzazioni.
Gli stessi risultati sono confermati da uno studio francese che ha evidenziato come la variante Delta risulti molto meno sensibile agli anticorpi in soggetti non vaccinati, ma sensibile in maniera significativa dopo una dose di vaccino, suggerendo che le persone che hanno superato l’infezione Covid-19 necessitano di essere vaccinate per proteggersi dalle varianti. L’ultimo rapporto dell’ECDC conferma questi dati.
In un recente focolaio israeliano la vaccinazione completa con Pfizer-BioNTech (in grado di garantire un’efficacia superiore al 90% contro il virus originale) ha fornito per la variante Delta una protezione solo del 64%. La variante Delta ha spinto le aziende Pfizer e BioNTech ad aggiornare gli attuali vaccini. Si attendono le sperimentazioni cliniche previste per il mese di agosto di un vaccino che avendo come target l’intera proteina Spike copra anche la variante Delta.
Il meccanismo che consente alla variante Delta di aumentare l’infettività e schivare la risposta immunitaria è legato alla combinazione di alcune mutazioni. Tra queste: D614G -sostituzione acido aspartico-glicina in posizione 614 della proteina S (condivisa con altre varianti altamente trasmissibili come Alfa, Beta e Gamma); L452R – sostituzione leucina-arginina in posizione 452 che conferisce una maggiore affinità della proteina S per il recettore ACE2 e una ridotta capacità di riconoscimento da parte del sistema immunitario; P681R- sostituzione prolina-arginina in posizione 681 della proteina S, cioè nel punto di giunzione delle sub-unità S1-S2, in cui la stessa dopo aver legato con il recettore ACE2, viene scissa in due con la mediazione della furina. Uno studio in pre-print pubblicato il 29 Giugno ha associato la maggiore infettività della variante Delta a questa mutazione che accelera la fusione cellulare e la penetrazione virale. Sembra che la maggiore ‘fusogenicità o fusione di cellule vicine con la formazione di sincizi determini l’elevata patogenicità.
Complica la situazione una ulteriore mutazione K417N (sostituzione lisina-asparagina) localizzata sempre nella proteina S (è presente anche nella variante sudafricana o Beta) di un sottotipo della variante Delta, denominato Delta Plus o Delta-AY.1 (o variante Nepal) identificata in Gran Bretagna. Questa mutazione modificando la conformazione di maggiore apertura della proteina S con un legame più forte con il recettore ACE2, può spiegare la maggiore infettività (e resistenza verso gli anticorpi) di questa variante, con un meccanismo molecolare analogo a quello di altre varianti altamente trasmissibili e resistenti agli anticorpi.
In Italia la variante Delta è passata in circa un mese dall’1% al 22,7% di prevalenza. I risultati sono contenuti nell’ultimo rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità. L’impatto di questa variante ed altre ad elevata trasmissibilità sul contesto italiano con una copertura vaccinale parziale in tutte le fasce di età, soprattutto quelle giovani, richiede una serie di misure, come indicate di recente dal Ministero della Salute per mantenere l’incidenza a valori che consentano il sistematico tracciamento dei casi positivi e contatti di caso ed il sequenziamento di SARS-CoV-2 per individuare precocemente e controllare l’evoluzione di varianti genetiche. Le relative raccomandazioni prevedono l’applicazione tempestiva delle misure di isolamento e quarantena in caso di VOC Delta sospetta o confermata, sequenziamento prioritario dei campioni provenienti da tipologie specifiche di soggetti, e adozione di strategie vaccinali che tengano conto della possibile minore protezione contro le infezioni da variante Delta dopo una sola dose di vaccino.
La variante Delta domina nei focolai in Malesia, Portogallo, Indonesia ed Australia. Alcuni paesi come il Vietnam, dopo il successo nella gestione delle prime ondate pandemiche, si trovano oggi ad affrontare una triplice minaccia: hanno controllato il Covid-19 così bene da avere poca immunità naturale nella popolazione, non hanno accesso ai vaccini e sono assediati dalla variante Delta.
Uno studio preliminare sulla diffusione della variante Delta in Australia ha evidenziato un legame più forte del virus con i recettori cellulari ACE 2 dei soggetti giovani, un dato che spiega la quota crescente di ricoveri nella fascia di età <55 anni riscontrata nell’attuale epidemia nella città di Sidney. Anche in Spagna, la maggior parte dei nuovi casi identificati interessano la popolazione giovane non vaccinata o in cui la vaccinazione non è completa. Si tratta di casi associati ad eventi super-diffusivi come concerti, feste, soprattutto in ambienti chiusi quali hotel, pub, club. In alcuni paesi dell’Africa subsahariana (es. Uganda, Ruanda e Kenya) a causa di una copertura vaccinale inferiore al 5% e la fragilità dei sistemi sanitari, i focolai Delta aumentano vertiginosamente, soprattutto tra i giovani, e creano le condizioni per un’accelerazione evolutiva virale.
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