La Cassazione ha stabilito che l’accusa di omicidio colposo può essere infondata se il paziente è affetto da numerose patologie
Si definisce l’omicidio colposo quando questo è commesso «[…] a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline». Ergo se ne deduce che un medico, non osservando le comuni regole di condotta professionali per leggerezza o inesperienza, può incorrere facilmente in questo reato. Ricordiamo anche che la pena prevista va dai sei mesi ai cinque anni.
Va però evidenziato come sia fondamentale, al fine di emettere una condanna di tal fatta, riscontrare un nesso causale pressoché certo tra la condotta del professionista e il decesso del paziente.
Un modo piuttosto comune di procedere, in sede di giudizio, per stabilire un nesso del genere, è quello di chiedersi: cosa sarebbe successo se il medico avesse invece seguito con diligenza, perizia e prudenza le più consone regole di condotta professionali? Il paziente sarebbe deceduto lo stesso? In termini tecnici, logico-filosofici, un tale modo di ragionare è detto “ipotesi controfattuale“.
Una recente sentenza della Cassazione, dello scorso ottobre, ha in effetti utilizzato una struttura argomentativa di tipo controfattuale per ribaltare il giudizio di primo grado e confermare quello dell’appello.
Nello specifico, tre cardiochirurghi vengono condannati in primo grado per omicidio colposo di un paziente anziano sottoposto ad un intervento a cuore aperto, per due motivi distinti:
L’appello si è però svolto secondo una logica opposta rispetto al primo grado. I giudici, infatti, «[…] hanno ritenuto indimostrato, sotto il profilo controfattuale, che una diversa condotta avrebbe garantito, in termini di apprezzabile probabilità, la sopravvivenza del paziente […]».
I ricorsi presentati dalle parti civili e discussi dalla Sezione Penale 4 della Cassazione seguono più o meno l’argomentazione dei giudici di primo grado. Vengono infatti presentati quattro motivi contro la sentenza d’appello:
I giudici della Sezione Penale 4 respingono i ricorsi presentati.
In relazione al primo e al terzo motivo, si sottolinea come in appello si sia «[…] non raggiunta – al di là di ogni ragionevole dubbio – la prova del nesso causale. I giudici hanno cioè affermato che, sulla scorta dell’operato giudizio controfattuale, è risultato indimostrato che una diversa condotta dei medici avrebbe garantito, in termini di apprezzabile probabilità, la sopravvivenza o una maggiore sopravvivenza del paziente».
Sul secondo motivo, si evidenzia come «[…] [i] giudici di appello […] [abbiano] legittimamente argomentato nel senso che la tecnica chirurgica adottata era stata la migliore possibile, date le condizioni del paziente, e che comunque l’intervento era tecnicamente riuscito».
Per la Cassazione la decisione del terzo medico di non intervenire sul paziente (quarto motivo) «[…] è stata condivisa dai periti, stante l’assenza di una situazione di urgenza e considerati i rischi connessi all’intervento, in un soggetto già in precarie condizioni di salute».
Da quanto si può evincere dalla vicenda narrata sopra, la linea di difesa delle parti civili non ha brillato né per originalità né per robustezza. È piuttosto evidente, però, che il rischio di arrivare, per i medici, ad una conferma della condanna era piuttosto alto. Per tale motivo è sempre bene adottare gli strumenti di tutela migliori presenti sul mercato assicurativo, magari approfittando di una approfondita e qualificata consulenza professionale da parte dello staff di SanitAssicura.
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