Il libro sulle relazioni genitori-figli in situazioni di separazione o divorzio
«Da oggi mamma e papà vivranno in case separate»: ogni anno sono più di 97mila le coppie che pronunciano questa frase davanti ai propri figli (dati Istat: nel 2019 97.474 separazioni totali). Nella maggior parte dei casi, dopo uno scossone iniziale, nel giro di poco tempo la vita familiare ricomincia. Si vive in due case separate, un po’ con la mamma e un po’ con il papà, a seconda delle decisioni prese al momento della separazione. In altri casi, il conflitto tra gli ex coniugi è talmente pervasivo da coinvolgere anche i minori che finiscono per tagliare completamente i ponti con uno dei due genitori e i rispettivi rami familiari.
Si tratta del cosiddetto rifiuto genitoriale, che pur riguardando la minoranza delle separazioni giudiziali, tra il 6 e il 12% del totale, può avere delle conseguenze rilevanti nella vita presente e futura dei figli di genitori che si separano in un clima conflittuale. Ed è proprio per evitare conseguenze a breve, medio e lungo termine che l’Ordine degli Psicologi del Lazio e il Tribunale di Roma hanno elaborato una proposta di modello di intervento per la gestione del rifiuto genitoriale. A questo argomento è dedicato il libro “Prevenire e curare la relazione genitori-figli in situazioni di separazione o divorzio” a cura delle psicologhe e psicoterapeute Anna Lubrano Lavadera, Viola Poggini, Elisa Spizzichino.
«Il rifiuto genitoriale è una condizione di rottura della relazione genitore-figlio a seguito di separazione o divorzio, in assenza di violenza e maltrattamenti. Il rifiuto del figlio verso uno dei due genitori è, in altre parole, immotivato», spiega in un’intervista a Sanità Informazione Anna Lubrano Lavadera, psicologa, psicoterapeuta, dottore di ricerca in Psicologia dinamica e Clinica e dello sviluppo, Ctu del Tribunale di Roma, mediatore familiare e componente del GdL in Psicologia giuridica dell’Ordine degli Psicologi del Lazio. I bambini che durante l’infanzia o l’adolescenza rifiutano uno dei due genitori saranno, con molta probabilità, adulti problematici. «Tra le principali conseguenze – continua la specialista – ci sono: bassa autostima, fragilità dei legami affettivi, maggiore tendenza a ritrovarsi invischiati in relazioni deludenti. Spesso si tende a compiacere l’altro, sviluppando quello che in psicologia viene definito “un falso sé”».
Il volume “Prevenire e curare la relazione genitori-figli in situazioni di separazione o divorzio”, che sarà presentato il 31 marzo allo spazio WeGil di Roma, esamina il fenomeno del rifiuto genitoriale da un punto di vista psicologico e giuridico, passando in rassegna i modelli specialistici di intervento. «Attraverso questo libro – continua Lubrano Lavadera – abbiamo voluto proporre buone prassi specialistiche, per intervenire nei casi di rifiuto immotivato. La nostra proposta di intervento prevede una collaborazione tra Magistratura e intervento psicologico, non tralasciando l’importanza della collaborazione di entrambi i genitori».
Gli esperti dell’Ordine degli Psicologi del Lazio e della I sezione civile del Tribunale Ordinario di Roma, tra il 2018 e il 2021, hanno analizzato 64 fascicoli di casi di separazione in cui si è verificato il rifiuto immotivato. Solo nel 5% delle situazioni esaminate la mamma è risultata essere il genitore rifiutato. «Questo perché nella stragrande maggioranza dei casi i figli restano a vivere con la propria madre», commenta la psicoterapeuta. Nell’89% dei casi è il padre ad essere rifiutato, nel restante 6% si assiste a rifiuti “incrociati”, ossia all’interno della stessa famiglia un figlio rifiuta la madre e un altro il padre.
Dalla ricerca dell’Ordine degli Psicologi del Lazio e del Tribunale di Roma emerge anche chi, di solito, presenta il ricorso all’apertura del procedimento: nel 55% dei casi viene presentato dalla madre allineata con il figlio, nel 28% dai padri rifiutati, nel 14% da entrambi i genitori, in 3 casi su 10 dalla madre rifiutata. In 58 nuclei familiari, su un totale di 64, il diniego si è espresso attraverso un’interruzione totale del legame con il genitore non collocatario. Nelle famiglie con più figli il rifiuto ha riguardato tutti i figli nel 95% dei casi.
Dallo studio emergono anche le ragioni che hanno spinto al rifiuto del genitore. Nel 31% dei casi ci sono accuse di maltrattamento o violenza, accuse che però non hanno trovato riscontro in sede giudiziaria penale. In 18 casi su 100 viene rimproverato al genitore rifiutato disinteresse o abbandono, nel 38% si associano entrambe le motivazioni, ovvero maltrattamenti e disinteresse, nel 6% vengono riferite problematiche di relazione, ostilità o maltrattamento, da parte del nuovo compagno del genitore rifiutato. In tutti gli altri fascicoli esaminati le motivazioni non sono state chiaramente specificate. Dall’entrata in vigore della legge sull’affidamento condiviso n. 54 del 2006 risulta molto elevata in questi casi la richiesta di affidamento monogenitoriale. In quasi la metà delle separazioni (il 48%) è un solo genitore a richiedere l’affidamento del figlio: si tratta della madre nel 20% dei casi, del padre nel 10 e nel 18% dei casi la richiesta di affido esclusivo è da parte di entrambi. Solo nel 15% delle situazioni la richiesta dell’affidamento è condiviso e nel 20% è il padre a chiedere l’affidamento condiviso.
«È anche alla luce di questi dati che abbiamo elaborato la nostra proposta di modello di intervento per la gestione del rifiuto genitoriale – dice Anna Lubrano Lavadera -. Una proposta che, oltre al contributo della psicologia e della Magistratura, mette al centro la collaborazione di entrambi genitori». Ogni caso è a sé, ma la storia di Marco (il nome è di fantasia) è senza dubbio emblematica, una sintesi perfetta della necessità di un’equa sinergia dell’operato di un padre e di una madre per perseguire il bene del proprio figlio. «Marco – racconta la psicoterapeuta – aveva rifiutato, immotivatamente, la figura paterna. Gli specialisti proposero ai suoi genitori di comprare un regalo congiunto per il Natale: un paio di scarpe da ginnastica. Fu la madre a consegnare il regalo a nome di entrambi i genitori. Ma Marco, saputo che quello era un dono anche del suo papà decise di rifiutarlo. Almeno in parte. Decise che avrebbe accettato solo una delle due scarpe, quella comprata dalla mamma. Ma fu la stessa donna ad opporsi alla decisione. Marco doveva scegliere: indossare entrambe le scarpe o rinunciarvi del tutto. Dopo un’iniziale reticenza Marco capì che una sola scarpa non gli sarebbe servita a nulla, ma che solo indossandole entrambe avrebbe potuto camminare. Da quel gesto simbolico Marco capì che era arrivato il momento di reintegrare la figura paterna nella sua vita. Che – conclude la psicoterapeuta – continuare a farne a meno avrebbe significato camminare con una scarpa sola per il resto della vita».
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