Per la Società Italiana di Neonatologia (SIN) l’ospedale resta sempre il luogo più sicuro dove partorire
«Negli ultimi anni, tra le donne con gravidanza fisiologica considerata a basso rischio, sta emergendo sempre più la volontà di partorire in ambiente extraospedaliero, in particolare quello domestico. Questa tendenza, che in Italia si stima essere intorno allo 0.05-0.1%, sembra essersi incrementata negli ultimi mesi dalla volontà di evitare gli ospedali, per effetto della pandemia da Covid-19 in corso». Lo dichiara la Società Italiana di Neonatologia (SIN) in una nota.
«L’ospedale è sempre il posto più sicuro dove partorire – sottolinea il Prof. Fabio Mosca, Presidente della Società Italiana di Neonatologia (SIN) in occasione della Giornata Internazionale del Parto in casa, che ricade il 6 giugno -. Anche in tempo di coronavirus, i nostri punti nascita sono più che mai protetti, con personale dedicato e percorsi separati per accettazione ostetrica, sale parto, puerperio e nido».
«Un parto in ambiente extraospedaliero o a domicilio può al contrario rivelarsi potenzialmente pericoloso – spiega la Sin – se non si adottano misure organizzative e criteri clinici di selezione delle gravide appropriati. I dati della letteratura relativi al parto in casa pianificato negli USA, ad esempio, riportano l’associazione con un significativo aumentato rischio di morte e di morbilità neonatale».
«Nel caso dovesse essere necessario un trasferimento in ospedale, in molte realtà italiane questo potrebbe non avvenire nei giusti tempi, soprattutto in un periodo di emergenza come quello che stiamo attraversando, poiché potrebbe essere aggravato anche da una minore disponibilità di ambulanze» aggiunge Mosca.
«Ci sono diversi motivi che spingono alla scelta del parto in casa. Tra questi – prosegue la Sin – una visione più olistica della gravidanza, un desiderio di avere maggiore padronanza del proprio corpo senza il condizionamento di interferenze mediche, la volontà di decidere autonomamente di partorire in un ambiente più intimo e confortevole, ragioni culturali o religiose e adesso il timore del contagio».
«La cura del neonato – continua – deve essere comunque affidata esclusivamente al pediatra/neonatologo, il quale dovrà coordinare i professionisti sanitari formati per l’assistenza al neonato, al fine di tutelarne la salute. Nei primi giorni di vita, proprio per evitare che possano sfuggire problematiche inizialmente poco evidenti, il neonato viene sottoposto ad una serie di screening e di valutazioni cliniche (screening metabolico allargato, lo screening per le cardiopatie congenite, lo screening audiologico, il test del riflesso rosso, la valutazione ed il monitoraggio dell’iperbilirubinemia e ipoglicemia, calo ponderale, ecc.) che proseguono durante la degenza e che permettono di dimetterlo in sicurezza, in un percorso organizzativo fondato sull’umanizzazione delle cure che presta particolare attenzione alla promozione dell’allattamento al seno, a favorire il legame mamma-neonato, al rooming-in. Molte di queste attività appaiono molto difficili, se non impossibili, da attuare a domicilio».
«Se la volontà di una mamma è, comunque, quella di partorire in casa – evidenzia la Sin – per affrontare la nascita nelle condizioni di maggiore sicurezza possibile, occorre che entrambi i genitori siano sempre adeguatamente informati dei potenziali rischi e delle limitazioni di questa tipologia di parto e che lo si pianifichi tenendo conto delle caratteristiche compatibili con una nascita a basso rischio».
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«Secondo la maggior parte delle linee guida internazionali i criteri di selezione per le candidate al parto in casa includono: l’assenza di malattie materne preesistenti, l’assenza di malattie significative nel corso della gravidanza, età materna non > di 35 anni, feto singolo, presentazione cefalica e assenza di distocie fetali ed età gestazionale compresa tra 37 e 41 settimane in donna pluripara. La presentazione anomala, la gestazione multipla o un precedente parto mediante taglio cesareo sono considerate controindicazioni assolute al parto in casa, così come stabilito da “The American College of Obstetricians and Gynecologists Committee on Obstetric Practice”».
«In conclusione, per garantire che il parto a domicilio non determini rischi inutili ed inaccettabili per mamma e neonato, è necessario che vengano rispettati alcuni fondamentali requisiti di sicurezza. Occorre la corretta identificazione dei fattori di rischio assoluto – sottolinea la Sin – per i quali è ben dimostrato un aumento della mortalità, e che controindicano il parto a casa. Il parto a domicilio deve essere parte di un sistema di assistenza alla gravidanza e al parto ben integrato con le strutture ospedaliere, come avviene ad esempio nel Regno Unito e in Olanda. In questi paesi le ostetriche sono integrate nei servizi di maternità, hanno elevate skills, anche in termini di numero di parti assistiti e devono garantire un training e standard professionali certificati».
«Il parto a domicilio deve inserirsi in un network ben organizzato ed integrato con i centri ospedalieri che, come nel Regno Unito, prevedono che in caso di parto a domicilio l’ospedale limitrofo venga pre-allertato e che ci sia un canale preferenziale e diretto di comunicazione. Deve, infine – conclude la Sin – essere previsto un sistema di trasporto di emergenza materno (STAM) e neonatale (STEN) efficiente e il domicilio dove avviene il parto non deve essere lontano dall’ospedale.Nell’attuale contesto organizzativo italiano del percorso nascita i requisiti di sicurezza soprariportati, derivati dall’analisi della letteratura scientifica internazionale, sono raramente presenti e rendono quindi il parto in casa una pratica potenzialmente più rischiosa del parto in ospedale».
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