di Agostino Macrì, esperto di sicurezza alimentare e Professore di ispezione alimentare al Campus Biomedico
Nel mese di agosto del 2017 sono stati emanati due Decreti (a firma del Ministero delle Politiche Agricole e del Ministero dell’Economia) che prevedono di indicare nelle etichette della pasta secca l’origine del grano utilizzato; anche nelle confezioni di riso deve essere indicata l’origine del cereale. I due Decreti, che hanno titolo sperimentale per due anni, entreranno in vigore il 17 e il 18 febbraio prossimi. Per diventare definitivi sarà necessario aspettare una decisione da parte della UE che dovrà “armonizzare” il sistema di etichettatura anche di questi alimenti, conformemente al Regolamento 1169/2011.
Scopo dichiarato dei Decreti è quello di favorire i produttori nazionali di grano e di riso e di fornire informazioni più complete ai consumatori. Da quanto risulta non esistono ripercussioni sulla sicurezza alimentare che comunque, indipendentemente dall’origine del grano e del riso, deve essere garantita secondo le norme sanitarie esistenti.
Il Decreto sulla pasta riguarda soltanto quella secca che, come è noto, utilizza come materia prima il grano duro di cui l’Italia è uno dei maggiori produttori mondiali. Però non è sufficiente per produrre la pasta che consumiamo e quella che esportiamo. Altri Paesi riescono a produrre a costi concorrenziali a quelli sostenuti dai nostri agricoltori che vengono a trovarsi in obiettive difficoltà nel mercato globale. Se tutti gli italiani consumassero pasta fatta con grano duro italiano, magari pagandola un po’ di più, i nostri agricoltori trarrebbero un sospiro di sollievo.
Oltre al grano duro esiste il grano tenero con il quale si fanno le paste “fresche” (tortellini, ravioli, fettuccine all’uovo ecc.) e i prodotti da forno (pane, pizza, panettoni, torte, merendine, ecc.). Anche il grano tenero è largamente importato in Italia, ma il Decreto Ministeriale non fa nessuna menzione di dover indicare negli alimenti a base di frumento l’origine di questo grano.
Insomma se mangiamo degli spaghetti o dei rigatoni secchi sapremo da dove arriva il grano con cui sono stati prodotti. Se invece acquistiamo un panettone, dei biscotti o dei ravioli freschi, in merito all’origine del grano, navighiamo nel buio.
Molto più lineare è il Decreto sul riso che riguarda le indicazioni da mettere sulle confezioni del cereale che acquistiamo per farne dei risotti o altri piatti della nostra tradizione culinaria.
Non è però un mistero che molti prodotti trasformati sono a base di riso (bevande vegetali, riso soffiato, prodotti per celiaci, ecc.); in questi casi non sembra che sia necessario indicare l’origine.
Anche se i due Decreti sono sufficientemente chiari, sarebbe opportuno ribadire che sono stati fatti per legittimamente favorire i nostri agricoltori (e forse non tutti). In questo modo i consumatori possono concretamente aiutare la nostra economia. Dovrebbe però risultare altrettanto chiaro che le materie prime di importazione debbono avere le stesse garanzie di sicurezza dei prodotti nazionali e che esistono per entrambi rigorose procedure di controllo che tutelano la salute dei cittadini.
Ecco i due decreti:
DECRETO 26 luglio 2017
Indicazione dell’origine, in etichetta, del grano duro per paste di semola di grano duro. (17A05704) (GU Serie Generale n.191 del 17-08-2017).
DECRETO 26 luglio 2017
Indicazione dell’origine in etichetta del riso. (17A05698) (GU Serie Generale n.190 del 16-08-2017).
Dal blog di Agostino Macrì, esperto di sicurezza alimentare e Professore di ispezione alimentare al Campus Biomedico