Contributi e Opinioni 27 Gennaio 2021 10:28

Quando i pensieri si tingono di nero

di d.ssa Stefania Tempesta, psicologa Odp Lazio

di d.ssa Stefania Tempesta, psicologa Odp Lazio

La mente è uno strumento meraviglioso! Lo abbiamo ereditato dai nostri antenati, quegli “uomini delle caverne” che dovevano acuire l’ingegno per garantire la propria sopravvivenza. In un ambiente ricco di insidie, i nostri progenitori dovevano darsi davvero molto da fare per mettere a punto armi di difesa efficaci contro gli attacchi delle fiere, e per garantire un rifugio sicuro per sé stessi e la prole!

I tempi di oggi sono ben diversi, l’evoluzione ha fatto il suo corso, la maggior parte delle persone gode di alloggi ben protetti e le società offrono beni e servizi che accontentano le esigenze più svariate. Eppure la mente ha conservato il suo antico scopo: darci la possibilità di usare il pensiero per reperire soluzioni che possano aiutarci a difenderci dal pericolo.

Tutto fila liscio quando la mente ci avverte che siamo di fronte ad una minaccia reale, e mettiamo in campo azioni volte alla nostra incolumità: sappiamo che dobbiamo fermarci al semaforo per non fare un incidente, essere puntuali al lavoro per non beccare un richiamo, o ricordarci di spegnere il ferro da stiro per non rischiare un incendio.

Accade però spesso che i pensieri non si prendano più cura del nostro benessere, e si insinuino nella nostra quotidianità in modo costante ed intrusivo, irrompendo come preoccupazioni sul futuro, ricordi dolorosi, o giudizi implacabili su noi stessi.

Un vortice di sofferenza si esplicita in frasi come “Sono un fallito”, “Non ce la farò mai”, “Sono un incapace”, “Gli altri non hanno motivo di amarmi”, “Combino solo guai”, “sono brutta”, e potrei proseguire a lungo.

Perché la mente sembra trasformarsi talvolta in un cinico “persecutore”?

Quando i pensieri si tingono di nero, siamo al cospetto di un disagio che definiamo rimuginio, e ruminazione.

Il rimuginio, una concatenazione di pensieri dalla valenza negativa, si attiva come strategia per far fronte ad una situazione futura percepita come potenzialmente minacciosa; la mente focalizza l’attenzione su problemi che potrebbero presentarsi ed i pensieri si susseguono alla ricerca di ipotetiche soluzioni.

La ruminazione viene così denominata poiché possiede le caratteristiche della modalità di assunzione del cibo tipica dei ruminanti: i pensieri assumono un carattere circolare e persistente, la persona pensa incessantemente alla sua condizione di impotenza e si concentra sulle cause e su cosa accadrà.

Quando la persona impatta con un evento spiacevole o vive una condizione difficile la mente fa il suo mestiere, producendo pensieri che si centrano sul problema e tengono alta l’attenzione sul pericolo. Dai pensieri scaturiscono emozioni come angoscia, paura, rabbia, le quali non fanno che accrescersi e diventare un fungo atomico altamente nocivo.

Se uno studente viene bocciato ad un esame universitario, ad esempio, può capitare che il pensiero distruttivo si faccia strada nella sua mente manifestandosi di continuo: “Non lo passerò mai”, “Sono un incapace”, “E’ troppo difficile”, “Non ho abbastanza coraggio per raggiungere i miei obiettivi”; la mente può continuare a cantare costantemente queste litanie, che a lungo andare appaiono come verità inconfutabili.

Sebbene dal pensiero ricorrente si generino emozioni di rabbia e frustrazione, continuare a ripetersi di “non essere capaci” assume la funzione di un farmaco ad effetto placebo, e soprattutto è utile all’ evitamento della situazione temuta:

  1. “Non passerò mai l’esame” (Pensiero = verità)
  2. Angoscia e tristezza sono pervasive (emozioni)
  3. Non vado a fare l’esame (evitamento della situazione temuta)

Se un pensiero provoca un arresto nella nostra vita, se è talmente imponente ed invasivo da impedirci di muovere qualsiasi passo, significa che siamo fusi col nostro stesso pensiero; gli crediamo ciecamente, seguiamo ciò che dice come se ascoltassimo le parole di un guru; inoltre le emozioni spiacevoli ci attanagliano e finiamo per sentirci senza speranza, inaiutabili, repressi.

Come far fronte ad una sofferenza psicologica che induce la persona a sentirsi bloccata in un tunnel senza fine? Non è possibile sbarazzarci dei nostri pensieri, né reprimere le emozioni; abbiamo invece la possibilità di riconoscere i meccanismi della nostra mente ed a sentirci liberi di indirizzare i nostri comportamenti in modo da esprimere ciò che vogliamo essere.

Un buon percorso psicologico inizia con un lavoro volto alla consapevolezza; quando il dolore comprime la vitalità perdiamo di vista che:

  • La vita non è sempre un prato verde su cui correre spensierati; incontreremo momenti che produrranno dolore e sofferenza (accettazione):

Possiamo innanzitutto accettare di sentirci abbattuti, stanchi e scoraggiati, anche se non ci piace: la vita ci riserva inevitabilmente momenti difficili. I pazienti obiettano spesso che “accettare non è accettabile”, perché significherebbe rassegnarsi alla condizione di disagio; accettazione non significa però tollerare una situazione spiacevole e aspettare che passi, bensì aprire un varco e consentire ai propri pensieri e sentimenti di essere così come sono, sospendendo la lotta, dandogli la possibilità di avere uno spazio per parlarci di come ci sentiamo, di cosa per noi è disturbante e quali sono i nostri bisogni.

  • La nostra mente produce pensieri, ma noi non siamo i nostri pensieri (defusione):

de-fonderci significa imparare a notare i nostri pensieri, guardarli come un osservatore esterno, mentre vanno e vengono, e comprendere che non possono intrappolarci e guidare le nostre azioni (quante volte abbiamo pensato ad alta voce di rompere la faccia a qualcuno? Il pensiero ci ha poi guidato a compiere un’azione simile?). Possiamo cominciare a notare quali pensieri corrispondono a giudizi, regole ferree, preoccupazioni costanti a cui aderiamo e che lasciamo regolino la nostra esistenza, intrappolandoci nell’immobilismo ed ostacolando qualsiasi cambiamento.

  • Dai pensieri spiacevoli scaturiscono emozioni dolorose (consapevolezza):

fuggire dalle emozioni dolorose ci rende dei corridori professionisti, o anche degli struzzi abilissimi nel ficcare la testa nella sabbia; peccato che la fuga non servirà a trovare una meta sicura e un luogo dove regna benessere e serenità. Siamo destinati a confrontarci con eventi indesiderabili e a provare delusione, rabbia e tristezza; le nostre emozioni, piacevoli o spiacevoli, costituiscono informazioni preziose a cui dovremmo dedicare uno spazio in cui possano espandersi; nel momento in cui diveniamo consapevoli di quanto siamo disgustati, tristi o impauriti, saremo protagonisti della nostra esperienza interiore, non più risucchiati nel vortice del dolore.

  • Il nostro corpo risponde alla sofferenza, e grida forte:

i nostri sensi costituiscono strumenti importanti, che ci consentono di interfacciarci con l’ambiente esterno riconoscendone le variegate sfaccettature attraverso gli odori, i sapori, la consistenza, l’aspetto esteriore, i suoni. La sofferenza psicologica implica spesso una “scissione” tra la mente che affronta ogni preoccupazione ed un corpo che risponde manifestando il disagio attraverso sintomi chiari, che vengono trascurati e permangono inascoltati. Un mal di testa troppo ricorrente ci sta forse avvisando che abbiamo bisogno di riposare? Un forte dolore allo stomaco ci sta forse mettendo in guardia da un nostro atteggiamento scorretto verso un corpo che ha bisogno di alimentarsi correttamente?

Nella mia esperienza clinica la necessità di riattivare il dialogo tra la mente ed il corpo emerge con chiarezza; non di rado l’intervento così detto Bottom-up (dal basso verso l’alto) chiama in causa il corpo per consentirne un corretto rapporto dialogico con la mente.

L’atto respiratorio che compiamo innumerevoli volte ogni giorno, ad esempio, è per la maggior parte di noi un automatismo, di cui non siamo consapevoli. Respirare consapevolmente è per molti un nuovo apprendimento ed una scoperta inattesa; imparare a portare l’attenzione sul flusso del respiro, ascoltandone semplicemente il suono, cogliendone il ritmo ed astenendosi dal forzarne l’andamento è di grande aiuto per tornare ad essere pienamente presenti e pronti a cogliere le sensazioni che nel corpo finalmente prendono forma.

Il respiro è inoltre uno strumento che non rischiamo di dimenticare a casa…abbiamo in qualsiasi istante la possibilità di focalizzare la nostra attenzione sull’aria che lasciamo entrare ed uscire dal corpo stesso, ottenendo quegli enormi benefici che derivano dal percepire un nuovo equilibrio interiore.

Pensieri ed emozioni sono i messaggeri di un’esistenza che portiamo in scena attraverso un corpo che avverte sofferenza se si spezza quell’armonico confronto con una mente fervida e laboriosa.

È possibile che il gioco si faccia duro e che la vita ci riduca in pezzi, ma è possibile imparare a riconoscere come ci sentiamo per aggiungere o togliere, finire o cominciare, smettere o continuare, dare o prendere, in piena consapevolezza e verso una vita per noi piena e significativa.

 

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