Recentemente sono stati proposti diversi articoli e servizi sulla radiologia domiciliare, anche in chiave di “necessaria” risposta sanitaria alla situazione emergenziale, ma ormai è pleonastica la considerazione che si sia tentato in tutti i modi di operare mere speculazioni intellettuali pur di parlare del Covid-19, cercando frattanto di trascurare le vere criticità che invece questa emergenza […]
Recentemente sono stati proposti diversi articoli e servizi sulla radiologia domiciliare, anche in chiave di “necessaria” risposta sanitaria alla situazione emergenziale, ma ormai è pleonastica la considerazione che si sia tentato in tutti i modi di operare mere speculazioni intellettuali pur di parlare del Covid-19, cercando frattanto di trascurare le vere criticità che invece questa emergenza ha drammaticamente sollevato.
Nello specifico:
– C’è chi ha argomentato che l’emergenza Covid-19 abbia «premiato quelle regioni che hanno puntato sulla medicina di territorio»: vorrebbe dire che le situazioni andate in mondovisione con documentari anche della BBC sulle provincie di Bergamo e Brescia durante il periodo più critico della fase di emergenza (stiamo parlando della Lombardia, la ritenuta “punta di diamante” del SSN Italiano), con le ormai tristemente celebri immagini dei militari che anche nottetempo si sono occupati delle operazioni funebri, debbano essere indirizzate nel dimenticatoio della memoria sociale?
– Per quanto riguarda l’impiego della metodica, va detto che un più decisivo impulso alla sua diffusione è stato consentito dalla più recente digitalizzazione delle immagini e del loro trattamento informatizzato, parallelamente allo sviluppo dei nuovi Sistemi Informativi e Banche Dati Sanitari: sviluppo occorso nell’ultimo decennio, troppo poco per affermare qualsivoglia troppo ardita tesi, strumentalizzando pur ben note tematiche in ambito universitario e di ricerca «sulla attuale situazione della struttura della popolazione e sulla necessità di modificare il funzionamento della rete dei servizi ospedalieri ed extraospedalieri».
– Addirittura si suppone il porre degli autentici “spartiacque” tra presunte differenziabili relazionalità dei professionisti sanitari, per un ipotetico «impegno tecnico e umano superiore a quello richiesto e garantito nelle strutture ospedaliere», anche alla luce delle differenze tra sanità privata e pubblica, che pure nulla, ma proprio nulla abbiano a che vedere con il «fronteggiare l’emergenza sanitaria per Covid-19»: mi spiace molto, ma non soltanto ciò risulta antideontologico (il codice è unico) ed antietico: è proprio a-morale!
– Ancora, si è pure asserito che la Radiologia Domiciliare, sia la prima azione complementare al tampone rino-faringeo nell’affrontare le criticità che la pandemia ha messo in evidenza: semplicemente una esagerazione certamente non rispettosa di molti altri fondamentali processi sanitari.
Ma veniamo al punto cruciale: come ormai si è abituati a riscontrare, in questi meri “spot” della radiologia domiciliare, è una costante l’assenza di una qualche argomentazione che riguardi i fondamentali di sicurezza relativi alla protezione contro i pericoli derivanti dall’esposizione alle radiazioni ionizzanti, con particolare riguardo alla giustificazione ed ottimizzazione degli esami radiologici, che – scusate il ricordarlo – la novella normativa (attuazione della direttiva 2013/59/Euratom), del tutto irriguardosamente per i TSRM, pone ancora in capo al medico radiologo.
Non volendo dilungare il discorso su tecnicismi normativi triti e ritriti, argomenti che però si vuole sempre irresponsabilmente snobbare – ebbene – ancora sembra non chiaro ai TTSSRRMM Italiani che, a normativa praticamente invariata, nel caso che nella equipe di radiologia domiciliare non risulti presente un medico radiologo (visto che si faccia riferimento ad una refertazione «contestuale» e non di presenzialità da parte dello stesso), essi incappano nominalmente ed in pieno nell’esercizio di abuso della professione medica; lo stesso reato che ha attivato i più famosi casi di Marlia e Barga del 2013 ed i successivi minori similari, alcuni ancora pendenti, ma a normativa pesantemente aggravata sul profilo della punibilità (legge n. 3/2018).
Infine, malgrado un più recente generalizzato “pushing” sulla telemedicina, che non tiene affatto conto di una reale differenziabilità delle azioni nell’universo sanitario, sarebbero del tutto note – e tutt’oggi anch’esse invariate – le posizioni della SIRM riguardo la tele-radiologia: Il Comitato Nazionale di Bioetica SIRM, nella seduta plenaria del 21 aprile 2006 ha espressamente stabilito che : «la diagnosi deve essere sempre fatta dal medico che visita materialmente il paziente(atto medico radiologico) e che la telemedicina comporta esclusivamente attività di consulto tra operatori qualificati, resosi necessario per la specifica particolarità del caso (ovvero avere maggiori e qualificate informazioni di supporto decisionale). Inoltre, la trasmissione telematica delle immagini (a prescindere dal mezzo utilizzato) non è esente da errori o disfunzioni e, dunque, la telemedicina (non il consulto integrativo e sussidiario) non è conforme ai principi generali di corretta pratica medica con conseguente responsabilità aggravata del medico che ha adottato tale pratica e di entrambi gli enti che la utilizzano. Conseguentemente, in caso di errore medico, sorgono problemi in ordine alla responsabilità anche dell’ente che presta concretamente il servizio di refertazione aumentando peraltro il cosiddetto risk-management dello stesso».
Conclusione: Chi non voglia fare i conti con la dottrina, con la giurisprudenza e con la normativa, di fatto riconsegna un inutile, ma dilagante, conformismo d’ordinanza misto ad un (boring) politically correct.
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