«Quello del regionalismo differenziato – ha affermato Barbara Mangiacavalli, presidente FNOPI – è un tema che a quanto pare soffre di fake news»
Regionalismo differenziato e tutela del diritto alla salute, se ne è parlato in occasione del seminario di studio organizzato dalla Federazione nazionale degli Ordini degli infermieri (FNOPI).
«Quello del regionalismo differenziato – ha affermato Barbara Mangiacavalli, presidente FNOPI – è un tema che a quanto pare soffre di fake news: il nostro obiettivo, con tutto il garbo istituzionale di cui l’argomento ha necessità, è di contribuire a dare strumenti conoscitivi appropriati e in questo senso e quello che emerge non è la voglia di andare avanti in maniera individuale di queste Regioni, ma di essere da sprone per tutto il paese».
Che le disuguaglianze ci sono nell’assistenza e nella cura è indiscutibile e Tonino Aceti, portavoce FNOPI, ha sottolineato le più evidenti e significative: una speranza di vita che in Campania è di 78,9 anni per gli uomini e di 83,3 anni per le donne, a Trento diventa rispettivamente di 81,6 e 86,3 anni; 12 Regioni inadempienti nell’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza stando alle anticipazioni del Nuovo Sistema Nazionale di Garanzia dei Lea; livelli di imposte regionali, provinciali e comunali sulle famiglie in molte Regioni inversamente proporzionali alla qualità e accessibilità dei servizi che sono in grado di garantire alle comunità, con livelli critici in Campania e Calabria.
«Nella fase attuale – ha sottolineato Davide Servetti, segretario scientifico della Società italiana di diritto sanitario (SoDiS) – sembrano in via di positivo chiarimento alcuni nodi che avevano preoccupato una parte degli osservatori, come la necessità di assicurare una partecipazione effettiva del Parlamento (che potrebbe essere coinvolto anche prima della conclusione delle intese) o il rispetto dell’articolo 119 Cost. (che garantisce la perequazione finanziaria e la corrispondenza tra funzioni e risorse). In sanità, particolare attenzione va ora data all’esigenza che l’intesa e la legge di differenziazione individuino precisamente i limiti statali derogabili dalla Regione interessata, sapendo che il SSN ha sue coerenze interne e alcuni principi devono necessariamente valere per tutte. Se la differenziazione punterà a sviluppare le migliori pratiche che stanno dentro le coordinate fondamentali del sistema, verrà colta la maggiore opportunità offerta dall’art. 116, terzo comma: la possibilità di sperimentare modelli virtuosi un domani estensibili ad altre Regioni».
«Non credo – ha detto Andrea Urbani, direttore generale della Programmazione del ministero della Salute – che le Regioni che hanno chiesto l’autonomia differenziata rifiuterebbero ragionamenti diversi se si dessero risposte ai loro bisogni e non limitazioni alle loro autonomie. I tetti ai singoli fattori di spesa sono strumenti per raggiungere un obiettivo, l’equilibrio di bilancio, ma dove sono stati raggiunti non è corretto che siano ancora l’ago della bilancia delle scelte e dell’utilizzo dei fattori produttivi. Una parte del paese non funziona perché ha dimostrato una minore capacità amministrativa, e non per carenza di risorse. Va lasciata maggiore autonomia a chi negli anni ha dimostrato di sapersela meritare.
“Siamo in un equilibrio di bilancio ormai storico, vogliamo meno ospedale e più territorio: perché allora – ha affermato Sergio Venturi, assessore alla Sanità Regione Emilia-Romagna – dobbiamo avere vincoli di assunzioni legati a tetti e blocchi? La cronicità fa a pugni con la cultura dell’ospedale e si deve lasciare chi può di essere libero di poter sviluppare nuovi sistemi. Se le risposte che cerchiamo ci venissero date per mezzo del Patto della salute, potrebbe diventare perfino inutile chiedere l’autonomia differenziata”. “Ci stiamo muovendo nella logica dell’unità nazionale – ha assicurato Giulio Gallera, assessore al Welfare Regione Lombardia -, per un sistema che deve essere uniforme, ma anche virtuoso e che così rischia di non esserlo in parte del paese. Le differenze c’erano prima: non creiamo noi differenze con l’autonomia differenziata”.
“Il vero pericolo che vedo – ha affermato al seminario Tiziana Frittelli, presidente dei Federsanità ANCI, la Federazione che rappresenta aziende sanitarie e Comuni – è quello dell’asimmetria attrattiva. Con migliori servizi, le entrate in sanità delle regioni più efficienti cresceranno anche grazie alla mobilità passiva, che peggiorerà l’indebitamento del Sud. Il mondo sanitario non è un mondo chiuso. Il fatto di poter contare su maggiori servizi, più bassa compartecipazione alle spese, più numerosi e meglio remunerati e, dunque, professionisti motivati, migliori situazioni strutturali degli ospedali e un parco tecnologico più innovativo, farà sì che le regioni che possono avere maggiori disponibilità di strumenti godranno degli effetti di una asimmetria attrattiva, sia per i professionisti che i pazienti, ancora maggiore di quella attuale”.