Di Pierangela Totta, Direttore Scientifico Futura Stem Cells
L’ α-talassemia major è una grave malattia ereditaria a trasmissione autosomica recessiva. Entrambi i genitori del bimbo malato, cioè, sono portatori, ma non malati, di questa malattia. Proprio perché essere portatori non significa esserne malati, non sempre si è a conoscenza di avere una mutazione genetica che potrebbe portare a generare un bambino affetto da α-talassemia major. Quando si decide di avere un bambino, purtroppo, si scopre ben presto se il proprio figlio è affetto da tale malattia. La diagnosi, infatti, solitamente avviene durante l’ecografia alla 22-28° settimana di gravidanza quando si osserva un aumento dello spessore della placenta, della cute nucale e del rapporto cardiotoracico. Perché questa malattia è così grave? Avere la α-talassemia major significa produrre una forma anomala di emoglobina. L’emoglobina è una proteina contenuta nei globuli rossi, indispensabile per il trasporto dell’ossigeno nel sangue. Nei soggetti affetti da talassemia, la forma mutata di emoglobina provoca la graduale ma inesorabile distruzione dei globuli rossi, fino all’anemia profonda. Avere una forma così grave di anemia porta morte in utero, con edema generalizzato e insufficienza cardiaca, ma anche complicanze per la mamma in attesa quali preclampsia, emorragie e parto prematuro. Alla diagnosi di α-talassemia major l’unica possibilità fino a ieri era effettuare al piccolo nascituro trasfusioni in utero e continuarle dopo il parto se riusciva a superarlo.
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La Dott.ssa Tippi MacKenzie e il suo team dell’Università della California, San Francisco (UCSF), specialisti di questa malattia, hanno ipotizzato e attivato uno studio clinico la cui terapia potesse intervenire in maniera risolutiva su questa patologia.
Lo studio clinico (NCT02986698) prevedeva, infatti, l’arruolamento di 10 donne in attesa di un bimbo affetto da α-talassemia major, alle quali veniva fornita una terapia che combinava trasfusioni in utero con trapianto di cellule staminali del sangue della mamma. Lo studio considerava che trapiantare le cellule staminali del sangue della mamma al bambino direttamente in utero non avrebbe portato rigetto. Questo poteva accadere perché il feto ha un sistema immunitario con attività differenti dal sistema immunitario dell’adulto. Esistevano, tuttavia, dei rischi per la mamma, dovuti all’operazione di prelievo delle cellule staminali da midollo effettuata tramite un vero e proprio intervento.
Il primo paziente è stato arruolato quest’anno e i ricercatori del gruppo della Dott.ssa MacKenzie hanno effettuato il trapianto di cellule staminali del sangue al bimbo in utero riuscendo a far nascere questo bimbo al quale, dalla diagnosi, non si era data alcuna speranza di vita. Il bambino, infatti, affetto da α-talassemia major, la cui diagnosi è arrivata al secondo trimestre di gravidanza, era in condizioni gravi. A seguito della terapia che ha combinato trasfusioni di sangue materno e trapianto in utero di cellule staminali del sangue materne attraverso la vena del cordone ombelicale, il bambino, o meglio la bambina, è nata a Febbraio al UCSF medical Center. Ad oggi, quattro mesi dopo il trapianto Elliana, così si chiama la bambina, deve continuare la terapia trasfusionale ma sta bene. È stata dimessa dall’ospedale ed è tornata con la sua famiglia nella loro casa alle Hawaii.
«Siamo incoraggiati da come la bimba e sua madre abbiano ben tollerato tutto il trattamento», ha detto la Dottoressa Mackenzie che ha effettuato il trapianto di cellule staminali del sangue dopo aver effettuato una ricerca durata circa dieci anni. «Normalmente, alle donne i cui feti vengono diagnosticati con alfa talassemia viene data una prognosi infausta e spesso si interrompe la gravidanza a causa della bassa probabilità di successo al parto. La sua nascita suggerisce che la terapia fetale, che include le trasfusioni fetali, sia una opzione praticabile da offrire a quelle famiglie con questa diagnosi», aggiunge Mackenzie.
Il trapianto di cellule staminali del sangue in utero fu un’idea nata negli anni 90 per trattare feti con malattie genetiche conosciute, e nacque con l’idea di trattare malattie del sistema immunitario. Con le scoperte sul funzionamento del sistema immunitario fetale i ricercatori sono stati capaci di disegnare delle strategie di trapiantare cellule staminali del sangue materne, e non solo, in dipendenza col periodo di gravidanza nel quale il trapianto viene effettuato.
«Una volta universalmente fatale, la talassemia, può ora essere gestita come una malattia cronica», ha detto il Dott. Elliott Vichinsky fondatore del Northern California Comprehensive Thalassemia Center presso l’UCSF Benioff Children’s Hospital di Oakland- Il trapianto di cellule staminali in utero può fare un ulteriore passo avanti: capire come una malattia possa essere trattata con successo prima della nascita». Vichinsky dice che i piani futuri possono includere l’utilizzo in utero di cellule staminali del sangue per trattare la beta talassemia, la talassemia più comune, ma anche l’anemia falciforme o altri tipi di malattie genetiche a rischio vita.
E in Italia a che punto siamo per queste terribili malattie?
All’Ospedale Cervello di Palermo si parla di una procedura di diagnostica precoce per la talassemia, la celocentesi, che potrà essere utilizzata per una definizione di patologia in maniera precoce per avere il tempo di scelta sulla procedura da seguire. La celocentesi, infatti, si effettua tra la quinta e la nona settimana di gestazione. «Una diagnosi così precoce – spiega il Dott. Aurelio Maggio, direttore di Ematologia II dell’Ospedale Cervello di Palermo – lascia la possibilità di interrompere la gravidanza senza dover ricorrere a un aborto terapeutico in fasi più avanzate della gravidanza, che rende ancora più traumatica una scelta di per sé dolorosa». Arrivare presto a riconoscere la malattia permette anche di aprire porte nuove come il trapianto di cellule staminali in utero. «Poter giungere a una diagnosi così presto riapre una finestra di accesso al feto. Con altre tecniche diagnostiche (amniocentesi, villocentesi) si arriva troppo tardi. Di recente abbiamo ottenuto l’attecchimento di cellule staminali del sangue paterne in feti affetti da talassemia trapiantati durante il secondo trimestre di gravidanza. Dopo la decima settimana di gestazione, però, il sistema immunitario del feto è già sviluppato e il rischio di reazione contro il trapianto è alto. Con la celocentesi, invece, riapriamo un vero e proprio progetto di guarigione in utero». La sperimentazione è durata tre anni ed è stata sostenuta dalla Fondazione Piera e Franco Cutino di cui abbiamo già parlato a proposito di un altro tipo di Talassemia. Quali saranno i prossimi passi? «Siamo all’inizio del percorso – risponde il Dott. Aurelio Maggio – Speriamo di poter applicare questo metodo diagnostico anche a malattie cromosomiche, come la sindrome di Down. Intanto, sulla talassemia si lavora sul fronte terapeutico e nel centro di ricerca dell’ospedale Cervello, che aprirà nel nuovo padiglione in costruzione accanto all’Ematologia, studieremo la terapia genica e il trapianto di staminali in utero».
Queste notizie diventano una pietra miliare per la medicina fetale. Sicuramente la ricerca scientifica deve andare avanti e la casistica ampliata, ma sapere che il trapianto di cellule staminali del sangue dà la possibilità di far venire alla luce bambini che altrimenti, purtroppo, non avrebbero avuto tale possibilità, è una notizia più che incoraggiante.
La dottoressa Pierangela Totta è Responsabile scientifica di Futura Stem Cells. È ricercatore da più di 15 anni con all’attivo diverse pubblicazioni internazionali nel campo oncologico e staminale