di Nino Cartabellotta, Presidente Fondazione GIMBE
Dalle recenti analisi indipendenti dell’Osservatorio GIMBE sul DEF 2019 sono emerse forti preoccupazioni per la sanità pubblica sia perché la crescita economica del Paese è stata drammaticamente ridimensionata, rendendo poco realistici gli aumenti previsti dalla Legge di Bilancio per il 2020-2021, sia perché il rapporto spesa sanitaria/PIL rimane stabile sino al 2020 per poi ridursi dal 2021.
«Se da un lato tali preoccupazioni – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE- vengono confermate dalle audizioni dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio e della Corte dei Conti, dall’altro stupisce la sbrigativa superficialità con cui le risoluzioni di Camera e Senato sul DEF 2019 ignorano la polveriera sanità».
L’Ufficio Parlamentare di Bilancio, snocciolando i drammatici numeri del disavanzo, conferma che esistono pochi margini per una spending review e che ulteriori tagli alla spesa sanitaria – prosegue la nota GIMBE – rischierebbero di incidere sulla qualità dei servizi offerti oppure sul perimetro dell’intervento pubblico in questo settore. La Corte dei Conti, sottolineando che ‘al termine del 2018 (…) non risultano sottoscritti gli accordi relativi alle aree della dirigenza sanitaria’ rileva preoccupazioni per ‘la forte riduzione di personale, anche in relazione al tempo occorrente per l’assunzione di nuovo personale, con particolare riferimento a settori come la sanità (…) in cui la diminuzione degli addetti rischia di incidere sull’erogazione dei livelli essenziali delle prestazioni e sulla qualità dei servizi.
«A fronte di queste preoccupazioni per la tenuta della sanità pubblica, le speculari risoluzioni di Camera e Senato si limitano ad impegnare il Governo a procedere dal 2019 ad un piano di assunzioni che argini il fenomeno della fuga dei cervelli e supporti la promozione di innovazione e ricerca in campo sanitario, valorizzando la funzione dei centri sanitari di nuova generazione e investendo in politiche di formazione ed inserimento lavorativo delle nuove professionalità, ad aggiornare a livello regionale il parametro di riferimento della spesa per il personale degli enti del SSN», aggiunge il comunicato. «Il DEF 2019 – puntualizza il presidente – indica il nuovo Patto per la Salute come strumento di governance per ottimizzare la spesa pubblica, ma in realtà il Patto condiziona anche le risorse per la sanità, come previsto dalla Legge di Bilancio 2019. Infatti, oltre al miliardo stanziato per il 2019, le risorse aggiuntive previste per il biennio 2020-2021 (+€ 2 miliardi nel 2020 e +€ 1,5 miliardi nel 2021) sono condizionate dalla stipula di un’intesa Stato-Regioni di un nuovo Patto per la Salute contenente misure di programmazione e di miglioramento della qualità delle cure e dei servizi erogati e di efficientamento dei costi». La scadenza per la sottoscrizione del Patto era fissata al 31 marzo, ma visto che il suo mancato rispetto non avrebbe avuto conseguenze le motivazioni del ritardo inizialmente sono imputabili al dilatarsi della “fase esplorativa”. In dettaglio:
– 13 febbraio. Le Regioni elaborano un documento fissando alcuni “paletti” per un primo confronto politico con la Ministra Grillo, assente alla riunione perche’ ritenuta meramente tecnica.
– 27 febbraio. Nel primo incontro ufficiale riprende il dialogo politico ma il Ministero prende tempo sui “paletti” proposti dalle Regioni per definire la cornice politico istituzionale.
– 14 marzo. La Ministra Grillo invia al presidente della Conferenza delle Regioni Stefano Bonaccini una contro-proposta, bocciata senza appello dalle Regioni perchè giudicata ‘invasiva’.
– 16 aprile. Nel secondo incontro ufficiale Governo e Regioni accantonano la cornice politico-istituzionale e danno il via libera ai tavoli tecnici: piani di rientro e commissariamenti, formazione e personale, governance del farmaco, investimenti in edilizia e tecnologie.
«Mentre Governo e Regioni bruciavano 4 mesi per annusarsi a vicenda – precisa Cartabellotta – gli scenari politici, economici e tecnici tuttavia sono mutati, rendendo la strada per la stipula del Patto per la Salute sempre più in salita e lastricata di ostacoli».
Il DEF 2019 ha certificato che gli aumenti del fabbisogno sanitario nazionale 2020-2021 sono utopistici, considerate le previsioni di aumento del PIL cui sono legati. Inoltre, nonostante il DEF annunci solo ‘un paziente lavoro di revisione della spesa corrente che porterà a un primo pacchetto di misure nella legge di bilancio per il 2020’, con la clausola di salvaguardia il blocco di € 2 miliardi di spesa pubblica nel 2020 finirà inevitabilmente per aggredire la sanità pubblica. In questo scenario, rispetto alle richieste delle Regioni, da un lato la Ministra Grillo non può offrire alcuna garanzia sull’aumento delle risorse previste per il 2020-2021, dall’altro per esigenze di finanza pubblica il Governo potrà in qualsiasi momento operare tagli alla sanità.
SCENARIO POLITICO
Il rovente clima di competizione elettorale per le imminenti consultazioni europee genera attriti quotidiani sulle tematiche più disparate tra i due partiti di maggioranza indebolendo il Governo. Ma anche il fronte delle Regioni è altrettanto sfibrato sia dalla minore compattezza conseguente al regionalismo differenziato, sia dall’incertezza sulle risorse condizionate, oltre che dal quadro economico, proprio dalla necessità di stipulare il Patto.
OSTACOLI TECNICI
Il tema del regionalismo differenziato rende molto più complesso raggiungere un accordo sulle “misure di programmazione e di miglioramento della qualità delle cure e dei servizi erogati e di efficientamento dei costi” che, di fatto, rientrano tra le maggiori autonomie richieste in sanità da Emilia Romagna, Lombardia e Veneto.
«La Fondazione GIMBE, sulla base delle proprie valutazioni indipendenti- conclude Cartabellotta – invita Governo e Regioni a stipulare in tempi rapidi il Patto per la Salute, sia per garantire le condizioni necessarie all’aumento del fabbisogno sanitario nazionale (MEF permettendo), sia perché la sanità pubblica non può oggi reggere ad un conflitto tra Governo e Regioni. Infatti, il rischio concreto, oltre che di ridurre ulteriormente l’equità di accesso alle cure, in particolare per le fasce socio-economiche più deboli e al Centro-Sud, è di peggiorare gli esiti di salute inclusa l’aspettativa di vita».