di Maria Silvana Patti, membro del Comitato scientifico della Casa della Psicologia dell’Ordine degli Psicologi della Lombardia
L’orrore della guerra in Ucraina, che ripropone l’orrore di qualsiasi guerra, e che ci sveglia dal torpore dell’indifferenza verso altri conflitti passati e ancora presenti nel mondo, scardina le nostre illusioni di essere al riparo, da questa parte del mondo, da simili accadimenti, facendo vacillare quella fiducia nel futuro che si stava ricominciando a costruire dopo due anni di pandemia.
La situazione attuale è indubbiamente traumatizzante: gli avvenimenti suscitano, infatti, emozioni soverchianti, inducendo un assetto di sopravvivenza, in cui non c’è spazio per altro che non sia la difesa della minaccia, con tutto ciò che questo comporta per chi è direttamente esposto e profondamente toccato dalla devastazione e dal dolore e, in tono minore, per chi ne subisce l’impatto in modo vicario, attraverso l’esposizione mediatica, con l’innescarsi, a seconda dei casi, di una mobilizzazione empatica, di una spinta a fare qualcosa, di una presa di distanza evitante e dissociata, di stati confusivi, di un vero e proprio blocco, figlio dell’impotenza e della paura.
Tutto ciò induce a riflettere sugli effetti del susseguirsi di eventi drammatici e violenti sulla salute psicologica di bambini e adolescenti.
Sappiamo bene, infatti, che, pur con le dovute differenze relative all’età, la neroplasticità cerebrale, cioè la possibilità del cervello di cambiare a seconda delle esperienze, è massima in infanzia e in adolescenza, rappresentando senz’altro una grande opportunità evolutiva, ma anche un rischio, nei termini in cui lo sviluppo tende verso derive patologiche, se le esperienze vissute sono genericamente sfavorevoli (sfiducianti, ansiogene, deprivanti, mortificanti ecc.) e/o francamente traumatiche.
Le derive psicopatologiche, di cui sopra, possono comprendere disturbi dell’umore, disturbi d’ansia, sindromi da stress post-traumatico, l’aumento di fobie, come, ad esempio la fobia scolastica, disturbi da dipendenza di sostanze e del comportamento alimentare, tendenze al ritiro sociale, con rinunce pervasive alla relazionalità.
Tutte queste manifestazioni psicopatologiche, che emergono dalle distorsioni del processo evolutivo, hanno in comune la dis-regolazione emotiva, la mancanza di fiducia nelle altre persone, la sensazione di non avere efficacia sulle proprie emozioni e, in generale, sulla propria esistenza.
Quanto detto è, inoltre, fortemente esacerbato dalla perdita di una certa routinarietà: una delle conseguenze più evidenti di eventi cumulativi tragici e imprevisti, è l’alterazione dei ritmi della quotidianità, di cui tutti gli esseri umani hanno bisogno: è a partire da questa illusoria prevedibilità, infatti, che riusciamo a spingerci al di là delle nostre zone di comfort, il tanto che basta per apprendere qualcosa di nuovo su noi stessi e sul mondo, per poi ritornare alla tranquillizzante abitudinarietà, che ci ricarica per intraprendere, in una sorta di circolo virtuoso, ancora nuove vie.
In questo senso, ogni sconvolgimento duraturo di questi ritmi crea danni importanti alla capacità di concentrazione, alla creatività, alla possibilità di giocare e di stare con gli altri: i fondamenti di una vita piena, soddisfacente e orientata al proprio progetto nel futuro.
A fronte di ciò, il compito dei genitori, degli insegnanti, delle figure di cura, degli adulti in generale, si rivela, nell’attualità, molto arduo: sono, infatti, chiamati a proteggere i bambini e i ragazzi, garantendo loro quella ‘base sicura’, dalla quale esplorare e iniziare a costruire la loro capacità di dare senso alla propria esistenza nel mondo, trovandosi essi stessi in balìa dell’ansia, della paura e della sfiducia nella possibilità di un avvenire migliore.
Gli adulti fanno fatica ad esercitare il proprio ruolo rassicurante, contenente e di accompagnamento alla crescita di bambini e ragazzi, perché, a loro volta, in preda alla paura, a vissuti depressivi e all’angoscia di dover fronteggiare un trauma (diretto o vicario) in corso.
Quali le vie percorribili? Una cosa è certa: è necessario il supporto, l’aiuto degli altri, il confronto, il sostegno professionale per poter ripristinare un minimo senso di sicurezza interno, che non è funzionale a negare la realtà, ma a creare – semmai – le condizioni per affrontarla e leggerla, fornendo a bambini e adolescenti, con le dovute differenze tra le fasce evolutive, gli strumenti per includere nella loro visione delle cose e nel loro modo di ‘sentire’, la fragilità, l’incertezza, i conflitti emotivi, di opinione e relazionali, imparando a contrattare – per crescere- con sé stessi e con gli altri.
Tutto ciò è molto importante soprattutto in un momento storico come questo in cui il futuro, come dice Benasayag, non è più una promessa ma una minaccia e, quindi, con probabilità di traumatizzazione molto elevate, implicanti dinamiche di sopravvivenza, che defraudano dei ritmi, della quotidianità, della creatività, delle relazioni, della bellezza, riducendo gli esseri umani a cose e “le cose, come si sa, non amano “(P. Freire).
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