di Ermanno De Fazi, vice segretario Smi-Lazio
Quando alle ore 17 del giorno 11 febbraio scorso alle OO.SS. è stata comunicata, da parte della Regione Lazio, la convocazione del Comitato Regionale per la Medicina Generale – indetta per il giorno successivo alle ore 15 in videoconferenza – ho ricordato quasi con liceale entusiasmo il verso di una poesia di Guido Gozzano: “Hanno tolte le federe ai mobili: è giorno di gala”. In realtà non è stato un giorno di gala, se la riunione si è risolta nell’araldica esposizione degli elementi dell’Accordo verso i quali la parte pubblica si era già assicurata un autorevole consenso.
Ricevuta la bozza di Accordo ad inizio conferenza (inviata a tutte le OO.SS. alle ore 15,03), la delegazione dello Smi-Lazio (formata dal sottoscritto e dalle colleghe Claudia Felici e Marina Pace) era consapevole della remota possibilità di chiedere emendamenti ad un testo che si mostrava, ad una prima lettura, ricco di criticità. Veniamo al dunque. Per il senso di responsabilità, per tutelare gli iscritti e per non privare i cittadini del diritto di tutela alla Salute, lo Smi-Lazio ha deciso di firmare l’Accordo con una annotazione critica a verbale.
Le nostre critiche si orientano lungo tre direttrici:
1) scelta del metodo;
2) appropriatezza dei contenuti;
3) utilizzo delle risorse umane ed economiche.
Un Accordo relativo all’impiego dei Medici di Medicina Generale nella vaccinazione anti-Covid non può sottostare ad egemonie politico-culturali in quanto le OO.SS., al di là della rappresentatività, sono depositarie di informazioni ed esperienze professionali utili per ideare, sviluppare e promuovere un simile progetto. Il metodo non era corretto.
Sull’appropriatezza evidenziamo alcuni punti critici: in assenza di un Regolamento per le Unità di Cure primarie (non ancora approvato), non riteniamo queste forme associative dotate di “una logistica organizzativa tale da poter consentire, in sicurezza, lo svolgimento delle pratiche e funzioni previste dagli Accordi vigenti”; le tipologie di vaccinazione anti-SARS-COV 2 non sono del tutto “assimilabili a quelle comunemente in essere per le pratiche vaccinali già svolte da anni dalla medicina generale”; gli standard di sicurezza non sono gli stessi per i vaccini svolti in studio, UCP o a domicilio. Infine, l’Accordo si riferisce esclusivamente ad una sola figura, i Medici di famiglia.
Sebbene gli orientamenti legislativi da molti anni auspicano il “ruolo unico” dei Medici di Medicina generale, al fine di favorirne il sodalizio professionale ed un univoco impiego nelle programmazioni sanitarie, la Regione Lazio ha voluto ignorare del tutto i medici addetti al Servizio di Continuità Assistenziale e alla Medicina dei Servizi, che essendo inseriti in organizzazioni distrettuali avrebbero potuto, ad ogni buon fine professionale ed economico, contribuire all’ampliamento dell’offerta vaccinale nelle sedi disposte dalle Aziende Sanitarie Locali, con utilizzo di postazioni già disponibili e con personale infermieristico dedicato. In un momento storico dominato dal difficile reperimento di personale medico, perché non pensare al completamento orario dei medici di CA e MdS consentito dai vigenti ACN e AIR?
Queste critiche spingono a riflettere sulla reale disponibilità qualitativa e quantitativa di vaccini sul territorio. Avremmo potuto dire qualcosa circa l’aspetto economico dell’Accordo, ma riteniamo certamente più utile esortare la Regione Lazio a migliorare l’attuazione della campagna vaccinale nelle singole ASL.
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