Un passato difficile nelle case popolari di Taranto, l’esperienza da eroe durante il Covid fino alla decisione di aiutare gli ultimi a Milano. La storia di una infermiera mette in luce tutte le lacune della Sanità italiana
Le liste d’attesa si allungano e i cittadini non hanno possibilità di curarsi. Questa situazione difficile per i pazienti ha spinto un’infermiera, Gabriella Scrimieri, a mettere nero su bianco la sua storia e a costruire un progetto per aiutare chi non ha le possibilità di avere prestazioni in solvenza e dunque costretto spesso a non curarsi.
«Le liste d’attesa in molte specialità sono addirittura chiuse fino al prossimo mese di ottobre – racconta a Sanità Informazione Gabriella -. Una situazione non accettabile in particolare quando si tratta di chirurgia e oncologia. Ho visto piangere pazienti perché non si potevano permettere la prestazione a pagamento e dunque costretti a rinunciare alle cure». Una sofferenza emotiva che riporta alla mente dell’infermiera il suo passato nelle case popolari di Taranto fatto di micro e macro-criminalità, spesso senza i servizi essenziali. «Ho avuto un déjà-vu – ricorda – mi sono rivista bambina nelle case popolari di Taranto dove sono cresciuta e dove ho vissuto un disagio importante con cucito addosso il marchio di essere delle case popolari».
Una vita in salita che spinge la Gabriella adolescente a misurarsi con atti di bullismo e di discriminazione, fino alla decisione maturata di voler riscattare quel passato difficile. «Ho capitalizzato un’esperienza personale molto dolorosa cercando di utilizzarla oggi per aiutare chi si trova in difficoltà. Così è nata l’idea del libro e dell’ambulatorio nelle case popolari», dice.
Dopo il Covid, quando medici e infermieri sono stati gli eroi della nazione, la Sanità italiana ha messo in luce tutte le sue lacune: liste d’attesa interminabili, pochi operatori sanitari, depressione post pandemia e la consapevolezza di lasciare sempre indietro qualcuno. «Ci siamo accorti che c’è chi non è in grado di pagare una prestazione, chi non ha il medico di base o la tessera sanitaria – spiega l’infermiera -. Insomma, manca l’assistenza di base anche in una metropoli come Milano». A soffrire di più sono le periferie, dove anche a Milano come a Taranto mancano le strutture, ci sono molti pazienti senza possibilità di cura ed è scoprendo questi angoli dimenticati della città che Gabriella rivede la sua infanzia e decide di riscattarla.
Fonda con alcuni colleghi infermieri e medici un’associazione di volontariato: Ali di Leonardo. «Dapprima abbiamo raccolto fondi per aiutare i bambini del Madagascar, poi ci siamo resi conto che i problemi sono anche a casa nostra. Siamo approdati al quartiere Calvairate, Molise Ponti dove c’è tanta povertà, tanto disagio sociale ed economico e molti extracomunitari senza tessera sanitaria e un’alta percentuale di persone affette da patologie psichiatriche». Nasce così il primo ambulatorio per gli ultimi che Gabriella, infermiera in un grande ospedale di Milano, e i suoi colleghi gestisce nel tempo libero, in particolare il sabato dalle 9,30 alle 13,30. «Aiutare queste persone è impegnativo, ma utile anche a me per riscattare il passato– sottolinea Gabriella -. E poi rivaluta la figura dell’infermiere, un profilo molto sottovalutato a cui non viene dato il giusto riconoscimento».
Il titolo è quasi provocatorio, perché Gabriella vuole far emergere nel libro il compito complesso di chi spesso viene messo in ombra, ma che ha invece un ruolo essenziale. «Serve innanzitutto un riconoscimento sociale – spiega -. I cittadini non sanno cosa significa essere infermiere. Il 71% non sa che siamo laureati e il 53% pensa che siamo ausiliari, non autonomi. Durante la pandemia eravamo degli eroi, poi siamo caduti in disgrazia con la campagna vaccinale. Attaccati dai no-vax, abbiamo dovuto difenderci da aggressioni verbali e fisiche, eppure siamo sempre rimasti in prima linea ad aiutare i pazienti». Una riflessione profonda di Gabriella che non nasconde la necessità di rivedere il ruolo dell’infermiere: «Dobbiamo lavorare molto sull’umanizzazione – fa notare -. Medici e infermieri scelgono di fare questo lavoro, i pazienti non di ammalarsi. Quindi dobbiamo accogliere chi necessita di cure con più dolcezza, la capacità di ascolto deve diventare il primo comandamento».
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