Nel corso della pandemia causata dal Covid-19, A.L.I.Ce. Italia Odv (Associazione per la Lotta all’Ictus Cerebrale) ha più volte lanciato l’allarme a causa della notevole diminuzione del numero dei pazienti con ictus cerebrale arrivati nei Pronto Soccorso dei nostri ospedali, sottolineando, anche attraverso il video #lictusnonrestaacasa realizzato con il supporto dei maggiori esperti a livello […]
Nel corso della pandemia causata dal Covid-19, A.L.I.Ce. Italia Odv (Associazione per la Lotta all’Ictus Cerebrale) ha più volte lanciato l’allarme a causa della notevole diminuzione del numero dei pazienti con ictus cerebrale arrivati nei Pronto Soccorso dei nostri ospedali, sottolineando, anche attraverso il video #lictusnonrestaacasa realizzato con il supporto dei maggiori esperti a livello nazionale (https://vimeo.com/410573006/0b7ac850e3), quanto sia importante non sottovalutare i sintomi che possono costituire “campanelli d’allarme” di questa patologia.
L’ictus cerebrale è una patologia tempo-correlata: i risultati positivi che possono essere ottenuti grazie alle terapie disponibili (trombolisi e trombectomia meccanica) dipendono, infatti, dalla tempestività con cui si interviene. È dunque fondamentale riconoscere il prima possibile i sintomi e chiamare immediatamente il 112 (118) in modo da poter arrivare rapidamente negli Ospedali attrezzati per la cura della patologia. In questo modo è, di fatto, possibile ridurre il rischio di mortalità, ma soprattutto gli esiti di disabilità, spesso invalidanti, causati da questa malattia.
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La pandemia ha inevitabilmente e radicalmente mutato lo scenario dell’assistenza sanitaria nel nostro Paese: nonostante questo, le Unità Neurovascolari o Centri Ictus (Stroke Unit) sono riuscite a rispondere al meglio alla situazione di emergenza, garantendo percorsi diagnostici e terapeutici efficienti ed efficaci; hanno inoltre gestito i pazienti in totale sicurezza, istituendo corsie specifiche per il Covid e mantenendo un distanziamento sicuro durante tutto il percorso clinico assistenziale.
Adesso che la situazione più critica sembra essere finalmente alle spalle, è assolutamente necessario che anche i posti letto che sono stati temporaneamente messi a disposizione per la terapia intensiva – dimostrando un autentico senso di appartenenza alla comunità ospedaliera – tornino “in possesso” delle Unità Neurovascolari.
Quello dell’adeguato numero di queste Unità di cura essenziali per i trattamenti della fase acuta, ma non solo, anche della riabilitazione precoce di chi ha subito l’ictus, così come del numero di posti letto per quegli abitanti che devono essere ricoverati “nel posto giusto e al momento giusto” è un tema particolarmente sentito dall’associazione che rappresenta i pazienti colpiti.
A.L.I.Ce. Italia Odv intende ancora una volta e con forza evidenziare la drammatica carenza che purtroppo si registra tuttora sul territorio nazionale, nonostante, già in base al Decreto del Ministero della Salute n. 70 del 2 aprile 2015 (Dm 70/2015) sia stata ufficialmente codificata la necessità di organizzare l’assistenza all’ictus cerebrale su due livelli. Il primo livello è quello dei centri dove è possibile effettuare la trombolisi, situati in ospedali con bacino d’utenza compreso fra 150.000 e 300.000 abitanti; il secondo livello è quello dei centri che si trovano negli ospedali con un bacino d’utenza compreso fra 600.000 e 1.300.000 abitanti, dove, oltre alla trombolisi, si possono effettuare anche i trattamenti endovascolari.
L’ampia differenza dei bacini d’utenza tiene conto delle realtà locali (orografiche, amministrative ecc.), ma facendo media sarebbero necessari un centro di primo livello ogni 200.000 abitanti e un centro di secondo livello ogni milione di abitanti. Quindi, prendendo in considerazione la popolazione del nostro Paese, in base al Decreto 70/2015 sarebbero necessari complessivamente circa 300 centri, di cui 240 con funzioni di I livello e 60 con funzioni di II livello.
Attualmente, invece, in Italia ci sono circa 200 Centri, l’80% dei quali è concentrato al Nord, lasciando così scoperte ampie aree che non sono quindi in grado di offrire una risposta sanitaria efficiente e adeguata alla gravità della patologia: i dati Istat ci confermano infatti che il tasso di mortalità per malattie cerebrovascolari in Sicilia è più del doppio rispetto a quello che si registra in Trentino Alto Adige.
Le Unità Neurovascolari hanno dimostrato di garantire una gestione ottimale del paziente con ictus tale da ridurre sia mortalità che invalidità residua se messe a confronto con strutture non specializzate e dedicate: riteniamo quindi fondamentale che vengano rapidamente ripristinate, ma soprattutto equamente e omogeneamente implementate, con l’obiettivo di avvicinarsi finalmente il più possibile ai rapporti numerici previsti dal Decreto Ministeriale 70/2015. Risulta infine evidente che ci sia un discreto margine di miglioramento anche per i Centri attuali, che auspicabilmente devono rendere sempre più efficaci le proprie procedure e prestazioni, mediante l’implementazione di un’organizzazione in rete, di efficienti percorsi extra e intra-ospedalieri e adeguato supporto dei servizi sul territorio. E’ necessario consentire a tutti i Cittadini di accedere alle medesime cure e trattamenti con la stessa professionalità ed efficienza nel minor tempo possibile e in ogni luogo del nostro Paese, evitando che cronicità e disabilità incidano sulla qualità di vita di interi nuclei familiari.
L’ictus cerebrale, nel nostro Paese, rappresenta la terza causa di morte, dopo le malattie cardiovascolari e le neoplasie. Quasi 150.000 italiani ne vengono colpiti ogni anno e la metà dei superstiti rimane con problemi di disabilità anche grave. In Italia, le persone che hanno avuto un ictus e sono sopravvissute, con esiti più o meno invalidanti, sono oggi circa 1 milione, ma il fenomeno è in crescita sia perché si registra un invecchiamento progressivo della popolazione sia per il miglioramento delle terapie attualmente disponibili.
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