Vorrei spendere due parole su un medico di Piacenza che, per l’eccezionale impegno profuso finora nella lotta al Coronavirus, può senz’altro essere annoverato fra i (tanti) camici bianchi italiani degni del titolo simbolico di “Medico d’Italia”. Mi riferisco a Luigi Cavanna, primario di Oncologia all’Ospedale di Piacenza. Fin dall’inizio di questa guerra, il prof. Cavanna […]
Vorrei spendere due parole su un medico di Piacenza che, per l’eccezionale impegno profuso finora nella lotta al Coronavirus, può senz’altro essere annoverato fra i (tanti) camici bianchi italiani degni del titolo simbolico di “Medico d’Italia”. Mi riferisco a Luigi Cavanna, primario di Oncologia all’Ospedale di Piacenza. Fin dall’inizio di questa guerra, il prof. Cavanna non è rimasto in trincea ad aspettare il nemico. Ma è uscito nella terra di nessuno per dargli la caccia e per soccorrere i feriti rimasti soli e abbandonati da tutti. Stiamo parlando quindi non solo di un eroe (una parola fin troppo abusata di questi tempi), ma dell’esempio in carne ed ossa di ciò che si può e si deve fare per battere davvero il Coronavirus. Ogni giorno, infatti, Cavanna e la sua task-force vanno a casa dei pazienti, li visitano servendosi anche di un ecografo grande come uno smartphone e, se riscontrano i sintomi del Covid-19, iniziano a curarli a casa! Non in ospedale, quando spesso è ormai troppo tardi.
Quante vite si sarebbero salvate in Italia applicando, fin dall’inizio, lo stesso metodo su vasta scala? Quanti posti di terapia intensiva si sarebbero potuti “risparmiare” (o mantenere disponibili) negli ospedali del Paese sommersi da schiere di pazienti ridotti ormai allo stremo? Sono interrogativi che è giunto il momento di porsi e di porre. Intanto, però, i medici come Luigi Cavanna hanno aperto una nuova strada. Una nuova frontiera: quella della cura precoce e a domicilio dei pazienti Covid-19. È di pratiche come questa (frutto il più delle volte della iniziativa sporadica dei singoli e non di una strategia “sistemica” per altro sperimentata altrove con innegabili successi) che si nutre la speranza di una reale svolta. E se (così almeno lascerebbero intendere taluni comunque ancora troppo timidi e frammentari segnali) anche in Italia sapremo fare del territorio la “prima linea” della lotta contro il nemico mortale che abbiamo di fronte, allora anche il corso di questa guerra terribile e spietata potrà cambiare finalmente. Cominciando, come è ovvio, col dotare i nostri medici (in primis quelli di base ma non solo), unitamente a tutto il personale sanitario e ai volontari, alle forze dell’ordine e ai militari impegnati in tutto il Paese, degli indispensabili presidi protettivi individuali. Perché è certo che sono, o sarebbero, tanti i “dottor Cavanna” pronti ad andare casa per casa a scovare i malati (sintomatici o asintomatici) di Covid-19. E continuare a tenerli inchiodati e di fatto inutilizzati nelle retrovie, costituirebbe il più catastrofico, quanto stavolta, non più perdonabile, degli errori.
Diamo quindi le armi necessarie a questo esercito. E, ognuno per quel che può e sa, lo sostenga concretamente. Dimostrando così, non solo quando c’è da rilasciare una bella dichiarazione a favore di telecamera, che i medici come Luigi Cavanna o come Samar Sinjab (la dottoressa di Padova di origini siriane divenuta il 100esimo camice bianco italiano ucciso dal Coronavirus) non sono e non resteranno mai più soli. È il minimo che dobbiamo loro. Ma anche uno dei presupposti essenziali per avvicinare e vedere finalmente spuntare il tempo della rinascita.
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