Contributi e Opinioni 14 Febbraio 2022 10:04

L’umanizzazione delle cure per combattere la sanità “a catena di montaggio”

di Sergio Calzari, Infermiere terapia intensiva Istituto Caridiocentro Ticino, Lugano

di Sergio Calzari, Infermiere terapia intensiva Istituto Caridiocentro Ticino, Lugano

Umanizzare uguale a: “rendere più umano”, personalizzare, adattare….

Umanizzare è la ricerca dell’ergonomia; dove il prodotto, l’atto, il servizio, si adattano alla persona come un guanto si adatta alla mano.

Personalizzare è l’opposto di standardizzare, di produzione in massa, di catena di montaggio.

Certo, ragionando in termini di economia o di efficienza, la standardizzazione ha permesso di offrire beni e servizi a molte persone e a basso prezzo e, ad una valutazione superficiale, un metodo di produzione del genere risulta efficace ed economico.

Senza entrare in dibattiti che non sono il mio campo, standardizzazione e produzione di massa hanno consentito a Paesi emergenti di diventare delle potenze economiche e ai Paesi occidentali di aumentare “l’accesso” a certi beni da parte della classe media.

Fin tanto che la produzione di massa si limita ai beni di consumo la catena di montaggio appare la soluzione migliore.

Il problema sorge, secondo l’umile parere di chi scrive, quando la “produzione di massa” viene applicata a valori, atteggiamenti, relazioni, comunicazione. Siamo così abituati alla logica della catena di montaggio, che se al termine di uno sforzo cognitivo e manuale non abbiamo un bene tangibile, che riconosciamo come utile e che possiamo valutare, il tempo trascorso e lo sforzo fatto ci risultano vani ed inutili.

E se logiche della catena di montaggio sono applicate, come di fatto avviene, alla salute, alla sanità, alla malattia, ecco che l’atto tecnico (medico o infermieristico), tangibile e valutabile, anche se standardizzato diventa l’unica cosa che conta.

La standardizzazione, la produzione di massa, l’efficientismo ci fanno pensare che una sanità che funziona sia una sanità dove l’atto tecnico assume l’unica importanza… Il numero interventi chirurgici o il numero di complicanze diventano i più importanti parametri di valutazione di un ospedale o di una unità operativa.

E all’interno di quell’unità operativa medici e infermieri rischiano di orientare il loro agire quotidiano proprio su questo meccanismo.

L’infermiere sa che durante quel turno di mattina dovrà preparare “sei interventi” che arriveranno scaglionati da casa e che in mezz’ora dovrà accoglierli, rilevarne l’anamnesi infermieristica, reperire un accesso venoso, prelevare il sangue, eseguire una tricotomia, controllare che la documentazione sia in ordine per la sala operatoria, ecc.

È questo ciò che conta e che verrà valutato dai suoi superiori… E la colecistectomia, ottantenne arrivata da casa prendendo l’autobus, si ritroverà shakerata, sballottata, confusa in balia di non sa bene cosa. Firmerà un consenso informato che non è poi tanto informato, perché di quello che è scritto capisce poco…

Il problema (e per fortuna che c’è questo problema) è che quella colecisti infiammata fa parte di un apparato, quello digerente, che a sua volta è parte di un corpo, che a sua volta è parte di un essere umano, di una persona. E sì…. Perché l’essere umano non è solo corpo, tangibile e misurabile… E’ un puzzle composto anche da spirito (virtu’ e sentimento) e psiche….Intangibili e non misurabili.  E la sofferenza di una delle componenti fa soffrire tutto l’uomo.

Ecco allora che l’anziana signora ottantenne a cui deve essere asportata la colecisti, si ritroverà con un apparato digerente guarito, ma magari si sentirà ferità dalla mancanza di ascolto, offesa e umiliata dall’essersi sentita “una colecistectomia”. Aveva chiesto di parlare col medico, ma era occupato. Aveva chiesto all’infermiera che la preparava per l’operazione se poteva chiamare al telefono la figlia, ma anche lei non aveva tempo. A cena era arrivato solo del semolino freddo e aveva pensato che fosse una prescrizione medica, ma poi aveva visto quanto veniva portato alla compagna di stanza e aveva pensato che forse era più buono il suo semolino freddo (perché mai in ospedale bisogna mangiare male?  Tanto che nel parlare comune si parla di “mangiare da ospedale”).

La notte poi, la povera compagna di stanza aveva avuto, per così dire, problemi intestinali e l’anonima paziente della colecistectomia si era anche sorbita “profumini” non suoi, ed ovviamente una notte in bianco.

E allora ci si chiede se un po’ di umanizzazione non sarebbe utile. Giusto un pochino…Anche se intangibile e non misurabile. Perché sorriso, modi gentili, ascolto, empatia non si misurano…ma quanto possono fare la differenza sul benessere della persona, che se ne tornerà a casa con l’apparato digerente guarito e si sarà anche sentita presa a carico, accolta, ascoltata e compresa.

 

 

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