di Giorgio Bartolomucci, medico e specialista in malattie infettive
Ho passato circa un mese in ospedale a causa di una polmonite interstiziale bilaterale provocata dal Covid-19. Mi sono contagiato e dopo otto giorni, vissuti da ignaro asintomatico, ho scoperto tramite un tampone molecolare di essere positivo. Su indicazione del medico di famiglia mi sono isolato a casa, senza febbre, tosse o fame d’aria. Quattro giorni dopo il tampone, su insistenza di un amico, mi sono sottoposto a una TAC polmonare che ha evidenziato la presenza di una polmonite che rendeva necessario un ricovero immediato. I miei polmoni erano colpiti al 50%. Io non ho fatto parte dell’85% dei casi destinati a guarire presto, ma il virus, in maniera subdola, ha aggredito il mio tessuto polmonare, senza dare sintomi clinici apparenti.
Se non avessi fatto la TAC, restando a casa qualche giorno in più, convinto di non correre rischi in quanto asintomatico, il danno organico sarebbe stato ancor più esteso e difficilmente risolvibile. Questo, purtroppo, è quello che sta succedendo ai meno fortunati, alle centinaia di persone che continuano quotidianamente a morire (più di 300 al giorno). Eppure, una precoce indagine radiologica, o ecografica, avrebbe potuto evidenziare l’azione demolitrice del virus e salvare loro la vita. Perché non bisogna mai dimenticare che non si muore di Covid ma a causa della polmonite provocata dal virus. Può sembrare una semplice battuta, ma è su questa considerazione che oggi possiamo valutare come sia incompleta la strategia per ridurre la mortalità causata dalla pandemia che stiamo vivendo. Aver focalizzato tutta l’attenzione sul virus e le sue varianti (colpa dei virologi?), ha messo in primo piano i tamponi e i tracciamenti ma, una volta identificati, i contagiati sono stati lasciati soli, in attesa del loro destino. Chiedere di restare a casa isolati, assistiti a distanza dal proprio medico di base che spesso risponde solo al telefono dando consigli e ricette on line, genera il paradosso che fa somigliare la malattia a una lotteria.
Perché, se il virus ha attaccato i polmoni, all’improvviso essi collassano e il tragico premio è un ricovero disperato in terapia intensiva. Questo sposta il paradigma della prevenzione: va bene cercare i contagiati, ma all’interno di questo gruppo vanno identificati al più presto quelli che mostrano i primi segni della polmonite. Una cosa che oggi, in genere, non si fa.
È tanta l’amarezza per le persone che ho visto con i miei occhi non sopravvivere all’intubazione, pensando che per molti di loro sarebbe bastata un’indagine radiografica fatta negli stessi drive in al momento del tampone positivo, (o a domicilio per i disabili, gli anziani o i più fragili). Intercettando subito i malati con una polmonite in stato precoce, la si può curare con i farmaci che abbiamo a disposizione, con molta più facilità. Dopo un anno e mezzo di pandemia, perché non sono state fornite apparecchiature radiografiche ed ecografi mobili alle Unità territoriali e ai medici di base, collegandoli con la telemedicina, per una diagnosi a distanza in tempo reale, a un centro diagnostico ospedaliero di riferimento?
Abbiamo più di centomila morti: in quanti di loro si sarebbe potuto evitare la grave insufficienza polmonare che è poi alla base del loro decesso? La pandemia non è finita e altre ancora potrebbero diffondersi nel futuro. Una radiografia ha il costo effettivo di 5 euro, un rapido referto può fare la differenza fra la vita e la morte. È quasi criminale ignorare che quel 2% dei contagiati, in cui la polmonite può rivelarsi fatale, ha diritto a non essere ignorato e lasciato al proprio drammatico destino.
È pur vero che il nostro futuro dipende dal successo della vaccinazione di massa, ma intanto perché non ci chiediamo perché le terapie intensive continuano a riempirsi di malati e si continua a morire ogni giorno di polmonite? I vaccini servono e daranno i risultati tanto attesi, ma non vorrei che fossero anche un modo per nascondere sotto il tappeto il fallimento di una strategia sanitaria mirata al virus e non all’individuo, e soprattutto l’inefficienza organizzativa di un sistema sanitario territoriale che dovrà sicuramente essere ridiscusso e riformato al più presto.
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