Il nuovo obbligo vaccinale per gli over 50, appena entrato in vigore, già divide l’opinione pubblica in fazioni. Chi lo ritiene insufficiente e lo vorrebbe esteso a tutti. Chi invece lo ritiene illegittimo, perché non sostenuto da effettive ragioni di tutela della salute pubblica. Si tratta, lo ricordiamo, di un trattamento sanitario obbligatorio ovviamente non […]
Il nuovo obbligo vaccinale per gli over 50, appena entrato in vigore, già divide l’opinione pubblica in fazioni. Chi lo ritiene insufficiente e lo vorrebbe esteso a tutti. Chi invece lo ritiene illegittimo, perché non sostenuto da effettive ragioni di tutela della salute pubblica.
Si tratta, lo ricordiamo, di un trattamento sanitario obbligatorio ovviamente non coercibile con la forza, ma sanzionato con una debole multa (100 euro) e con una serie di assai più serie ripercussioni di ordine lavorativo (per gli over 50 ancora attivi).
Al di là delle questioni ideologiche che stanno alla base di tale dibattito è singolare il fatto che tra le ragioni di critica sbandierate per contestare, sul piano giuridico, l’obbligo vaccinale alcune autorevoli voci abbiano tirato in ballo la questione del “consenso informato”, che ciascun paziente ha il diritto di fornire prima di esser sottoposto a un trattamento sanitario.
Il tema è certamente mal posto, dal momento che di consenso qui deve parlarsi: a fronte di un trattamento sanitario obbligatorio, nessun cittadino deve acconsentirlo, essendo anzi tenuto a rispettarlo. Nessun consenso dovrà dunque essere raccolto prima della somministrazione del farmaco. Ciò, tuttavia, non fa venir meno il diritto, sacrosanto, del cittadino di essere informato sul tipo di trattamento riservatogli e sulle possibili complicanze. E dovrà comunque esser compilato il questionario anamnestico indispensabile a valutare quelle eventuali “specifiche condizioni cliniche” al ricorrere delle quali la vaccinazione può essere omessa o differita (ai sensi di quanto, del resto, previsto dal D.L. 1/2022).
Ora, al tema del consenso si correla, ovviamente, quello delle eventuali responsabilità (dello Stato, in primis) per le possibili, seppure remote, complicanze insorte a causa della somministrazione del vaccino. E anche qui la questione va letta sotto diversi angoli visuali. Da un lato, per i vaccini obbligatori, vi è chi teme che in assenza di consenso si apra la via a una serie di contenziosi, agevolati dal fatto che il paziente non sia stato messo in condizione di consapevolmente apprezzare il rischio correlato alle complicanze correlate al vaccino. Il che pare un controsenso, proprio perché rendendo obbligatorio il vaccino lo Stato, in conformità a quanto stabilito dalla Consulta, ha già valutato che le esigenze di tutela della salute pubblica ammettano sacrifici individuali; ed eventuali danni, se eccedenti la normale tollerabilità, devono comunque esser presi in carico dallo Stato, come in effetti già avviene. Proprio sul tema delle eventuali complicanze sembra infatti regnare una sostanziale disinformazione generale: il nostro ordinamento già contempla un sistema di tipo indennitario (L. 210/1992 e L. 229/2005) che prevede l’erogazione di determinati sussidi a favore di chi abbia riportato infermità o patologie per effetto di vaccinazioni obbligatorie.
Per quel che invece riguarda i vaccini non assoggettati all’obbligo, per i quali il consenso continua a esser richiesto, la critica si fonda su ragioni ben diverse: ciò che sembra preoccupare molti, infatti, è che si tratta di un consenso forzoso e comunque “viziato”, perché condizionato dall’esigenza di ottenere il green pass e di non subire le conseguenze amministrative di una scelta omissiva. E dunque un tale consenso, non del tutto libero e genuino, perderebbe parte della sua pregnanza giuridica, e ci troveremmo di fronte a un obbligo di fatto, in qualche modo travestito. Ma anche in questo caso alcune precisazioni si impongono. Se è vero che si tratta di un consenso più “debole” e potenzialmente orientato da fattori estranei al trattamento sanitario in sé e per sé considerato, è altrettanto vero che la campagna vaccinale si pone anch’essa al di fuori della normale somministrazione di trattamenti di cura, inserendosi in un contesto pubblico in cui le ragioni individuali si decolorano un poco. E ragionando empiricamente, non pare azzardato sostenere che chi si reca presso un punto vaccinale lo faccia per scelta consapevole già elaborata, potendo disporre, in questi mesi di straordinario battage mediatico, di tutti gli elementi occorrenti per scegliere il da farsi. E comunque, a chiudere il cerchio, anche in questi casi interviene il citato meccanismo indennitario, ritenuto dalla Consulta pacificamente applicabile non solo ai vaccini obbligatori ma anche a tutti i casi (come quelli anticovid) di vaccinazione fortemente raccomandata per esigenze di interesse pubblico. Certo, di tali possibili interventi solidaristici e indennitari potrebbe esser data maggiore evidenza, offrendone più accurata informativa ai cittadini e placando polemiche talvolta pretestuose. Il tutto, magari, anche attraverso un intervento normativo che confermi a chiare lettere che tutte le vaccinazioni anti Covid rientrano tra i casi di tutela offerta dalla legge 210/92 *.
*Fonte LaVerità
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