Un progetto congiunto che vedrà impegnati il Policlinico di Modena e la facoltà di Medicina. Una novità assoluta che, secondo la tempistica fissata dalle parti, dovrebbe partire nell’anno accademico 2020/2021 con i primi moduli base
A pochi giorni dal tanto discusso test di Medicina, l’Università di Modena guarda già al futuro. E se la prova maestra per accedere alla facoltà ha visto impegnati 968 studenti pari al 94% degli iscritti (che erano sulla carta 992), per 149 posti complessivi su due corsi (Medicina e Chirurgia e Odontoiatria e Protesi dentaria), per chi ce la farà, si profila all’orizzonte una nuova scuola di chirurgia con metodologie di insegnamento innovative. Un progetto congiunto che vedrà impegnati il Policlinico di Modena e la facoltà di Medicina, reso possibile dalla eccezionale sinergia che si è sviluppata in questi ultimi anni. Una novità assoluta che, secondo la tempistica fissata dalle parti, dovrebbe partire nell’anno accademico 2020/2021 con i primi moduli base.
Una sfida per tutta la sanità italiana che l’Ateneo emiliano, già noto per le tante eccellenze nell’ambito della chirurgia, si appresta a giocare per garantirsi un primato importante, come ha confermato il Preside della facoltà di Medicina e Chirurgia, il professor Giovanni Pellacani.
Professore quali sono le novità di questo ambizioso ed innovativo progetto?
«Si tratta di una serie di moduli di insegnamento della chirurgia organizzati in modo sequenziale e a fruizione delle scuole di specializzazione, ma anche di medici chirurghi che vogliono imparare certe tematiche. Quindi potrà essere appetibile per studenti di medicina, specializzandi in chirurgia, ma anche chirurghi formati che potranno, con il corso, affinare o conoscere nuove tecniche».
Come pensate di strutturare questa nuova scuola?
«Oggi siamo ancora in una fase preliminare, di studio. Non abbiamo ancora definito crediti, durata e costi, di sicuro però sarà modulata su vari livelli, per cui la facoltà di medicina avrà i primi livelli di formazione per insegnare e far capire cos’è la chirurgia, per le scuole di specializzazione ci saranno livelli superiori di difficoltà, mentre per professionisti già formati ci saranno parti ultra-specialistiche in alcune tematiche che normalmente non vengono date agli specializzandi».
Che tipo di investimento richiede un progetto di questo tipo per la sanità italiana?
«Si tratta di un investimento a scalare, non c’è dunque un costo definitivo, dipende da quanto sarà l’ambizione di coloro che aderiranno. Si tratta comunque di un progetto che vuole arricchire quanto già è presente e costituire nuove aree di competenza».
Quali sono gli obiettivi che vi siete prefissati?
«Oggi non c’è una modalità congiunta sistematica che possa addestrare una persona a diventare un chirurgo, in qualunque specialità vada e per qualsiasi tecnica. Questo è ciò che manca, oggi infatti gli studenti si orientano verso chirurgia per sentito dire o passione intrinseca, più che per reale consapevolezza. Invece lo scopo è avere sia dalle prime fasi della formazione un approccio reale al mestiere e poi una preparazione sistematica, con una base comune e professionale, da cui si possano poi sviluppare filoni specialistici. Quindi occorre creare un sistema di preparazione, di incanalamento per chi è interessato in modo più organizzato».
Qual è la forza del progetto?
«Vogliamo unire le competenze di tutti gli specialisti che lavorano nella stessa area con la potenza del prodotto che deriva dal sistema assistenziale dell’azienda Policlinico. In questo modo avremo competenze, forza strutturale culturale provenienti sia dall’azienda che dall’università. Questi sono gli elementi che cerchiamo di congiungere per creare un progetto compatto nazionale di preparazione. In un percorso ideale lo studente di medicina inizia ad entrare in un cammino e può comprendere la vocazione per la chirurgia attraverso i primi sistemi di simulazione, a seguire avvierà la sua carriera seguendo questa passione. Nella scuola di specializzazione approfondirà le tematiche, entrando nello specifico, e dopo potrà procedere affinando le competenze. Questo è il percorso che si vuole coprire. Non solo: in questo modo si potrà avere una preparazione a domicilio che dovrebbe evitare una fuga di massa dei camici bianchi verso ospedali internazionali».
Una soluzione dunque per ridurre il gap con gli altri Paesi?
«La medicina italiana è già nota per essere di altissimo livello. Sicuramente una formazione mirata nella chirurgia di alta specializzazione permetterà di metterci in mostra anche rispetto agli altri Paesi, ma occorrerà anche adeguare gli stipendi per trattenere in Italia i nostri specialisti e investire risorse in sanità».