Il presidente Stefano Guicciardi: «Necessario aumentare borse di specializzazione e rendere più attrattivi i posti di lavoro nelle aree difficoltose, altrimenti continueranno ad esserci concorsi affollati e altri deserti»
Prima arrivarono i pensionati, poi furono chiamati gli stranieri. Mancano gli specialisti e quindi Regioni e aziende cercano altrove. Una situazione che il presidente di FederSpecializzandi, Stefano Guicciardi, non esita a definire delirante: «Invece di pensare a soluzioni palliative e a scappatoie fantasiose come queste, bisogna affrontare il problema a monte intervenendo adesso, senza aspettare oltre, su due fronti – dichiara a Sanità Informazione -. Aumentare significativamente il numero delle borse di specializzazione e rendere più attrattivi per i neo specialisti i posti di lavoro che ci sono».
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La carenza di medici specialisti è sotto gli occhi di tutti e le prospettive per il futuro sono drammatiche, ma oltre ai concorsi a cui non si presenta nessuno, ci sono anche quelli che vengono presi d’assalto dagli specialisti: «Chiediamoci perché – prosegue Guicciardi – alcune posizioni non sono ricercate da nessuno. È ovvio che uno specialista che ha appena completato il suo percorso formativo, purtroppo ancora non adeguato in diverse realtà, non se la senta di andare “in trincea” in ospedali periferici, spesso sotto organico, dove gli verrebbe chiesto di assumere un carico di lavoro triplo e a condizioni più svantaggiose rispetto agli altri».
Cosa fare, allora? «Rendere più accattivanti i posti meno appetibili – risponde il presidente di FederSpecializzandi -. Investiamo sulla qualità dei contratti, diamo più garanzie e risorse per i posti più difficoltosi, e gli specialisti saranno incentivati ad andare anche in ospedali che presentano delle criticità».
Uno squilibrio di offerta che causa una frammentazione della domanda, quindi. Un fenomeno che tuttavia, a detta di Guicciardi, è verosimilmente destinato a peggiorare: «Grazie allo sblocco del turnover e ai tanti medici che nei prossimi anni andranno in pensione – spiega – a breve si libereranno molte posizioni e i professionisti avranno sempre più scelta. Com’è normale che sia, tenderanno a preferire quelle più vantaggiose e appetibili; ma per non lasciare deserte le corsie delle aree più complesse, o affidarle a medici centenari o che provengono da chissà dove, bisogna rendere quelle offerte più attraenti».
Giudizio totalmente negativo, infine, sulla proposta di contrattualizzare i medici che non riescono ad accedere alle scuole di specializzazione o di far lavorare di più gli specializzandi per sopperire a queste carenze: «Bisogna ricordare – ribadisce con forza Guicciardi – che chi frequenta le scuole di specializzazione già lavora negli ospedali svolgendo compiti che spesso vanno ben al di là di quelli che gli spetterebbero. Molto spesso è colui che consente a interi reparti di svolgere la normale attività. È paradossale, allora, che la politica riversi le proprie responsabilità sull’anello più fragile, che è ancora in formazione, e gli chieda di farsi carico di quelle carenze decennali che non è stato lui a causare. E poi come si fa a verificare che gli specializzandi abbiano davvero le competenze per fare quello che qualcuno vorrebbe facessero? Ad oggi non esistono curricula nazionali standardizzati per specializzazione e la qualità formativa è ancora troppo eterogenea. E ad ogni modo non può essere il cittadino il banco di prova, non si può rischiare di erogare un’assistenza inferiore. Non si può dire ad uno specializzando o, peggio ancora, ad un medico neo laureato “gestisci un reparto, così impari facendo”. Questo – conclude Guicciardi – non è ammissibile senza una formazione solida alle spalle».