In Italia, la formazione dello specialista fa riferimento all’università e al ministero dell’Istruzione, quella del medico di famiglia al ministero della salute ed alle Regioni che si affidano a intese.
Pesano le diseguaglianze fra medici specialisti e medici di medicina generale. La disparità di trattamento tra chi frequenta corsi di Medicina Generale e chi opta per i corsi di specializzazione medica, infatti, è evidente: i primi guadagnano 11mila euro all’anno (considerati fonte di reddito e quindi tassati), mentre la remunerazione dei secondi varia tra i 25mila e i 27mila euro (consistenti in borse di studio non tassate). Inoltre, i medici di Medicina Generale non godono delle tutele previste dai normali rapporti lavorativi (per esempio la gravidanza), mentre agli specializzandi spettano i contributi previdenziali e la stipula di un’assicurazione. Inoltre, in molti Paesi europei la Medicina Generale è riconosciuta come specialità, in Italia no. Per tutti questi motivi, i medici di Medicina Generale possono adire le vie legali per ottenere un risarcimento.
A fare chiarezza ci pensa Aldo Lupo, past president dell’Unione dei sindacati dei medici di famiglia europei Uemo, intervistato da Doctor33. «La vicenda è lunga – spiega Lupo – e per capirla dobbiamo raccontare due storie separate, una riguarda la Comunità europea e l’altra l’Italia». Partiamo dalla prima. «L’UE prevede la libera circolazione dei lavoratori e delle merci in pratica da sempre. Nel 1975 arrivano due direttive per il reciproco riconoscimento dei medici tra stati membri: la 362 detta i requisiti della formazione specialistica post-laurea, la 363 del pre-laurea. Di medicina generale non si parla. Solo nel 1986 si riconosce che per la libera circolazione dei medici di famiglia è necessario un corso post-laurea di 2 anni, formalizzato nella direttiva 457 che anche in Italia attuiamo rapidamente istituendo le borse. Seguono le direttive 16 del ’93 e la 19/2001 che porta a tre gli anni di formazione, quindi la direttiva 36/2005 e la 55/2013 che entro il 2023 andrà rivista. Dunque, anche Bruxelles separa i percorsi di medicina di famiglia e specialistica; la prima disciplina ha un percorso di 3 anni in tutti e 27 gli stati membri ciascuno dei quali poi esprime eventuali equipollenze, che per noi consistono nei laureati ante 1995».
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Nelle singole nazioni, invece, le cose vanno in maniera diversa: «In alcune la medicina generale – spiega ancora Lupo – è specialità, in altre no. Italia, Regno Unito, Austria e Belgio ad esempio non hanno riconosciuto la specialità, una ventina di altri paesi sì e questo crea problemi».
In Italia, la formazione dello specialista fa riferimento all’università e al ministero dell’Istruzione, quella del medico di famiglia al ministero della salute ed alle Regioni che si affidano a intese (con ordini, società scientifiche, sindacati). «Siamo lontani dalla chance di diventare specialità universitaria – si può leggere ancora su Doctor33 – né ci sono mmg direttori di cattedra universitaria. Ma il medico di famiglia sa molto e costa poco in relazione a quanto sa».
Il distacco dall’ateneo genera una conseguenza ai fini dell’entità della borsa del tirocinante. «Mentre lo specializzando in ospedale lavora- visita, referta, assiste ai letti -e ha una corrispettiva responsabilità, in certi casi senza di lui l’ospedale chiude, in Medicina Generale la frequenza dei tirocinanti prevede una posizione di tipo prevalentemente didattico-pedagogico: si va per vedere, si frequenta un anno dei tre (o due semestri distinti) dal medico di famiglia e poi si gira per reparti dove non si svolge il lavoro in ospedale. Anche se si fa presenza non si è responsabili del processo assistenziale e ciò determina la differenza tra i due contratti. E’ antipatico a dirsi, ed è confutabile nella misura in cui il tirocinante dal collega tutor svolge dei lavori, sui quali però gravano evidenti limitazioni. Lo stesso mmg tende a farsi sostituire poco; ma se si facesse sostituire realmente, in una materia non normata, come potrebbe offrire un corrispettivo? Sarebbe ottimale riconoscere un periodo di pratica ben pagato, un anno in cui si svolgono lavori in studio, supervisionati da tutor, magari allungando il percorso formativo».