Lavoro e Professioni 9 Giugno 2020 14:00

‘Covid-19 Il virus della paura’, ecco com’è nato il docufilm che punta sulla formazione di qualità. Venerdì la presentazione

Il progetto verrà presentato il 12 giugno alle ore 11.30 sulla pagina Facebook di Consulcesi Club alla presenza di Ranieri Guerra (OMS), Roberto Speranza (ministro Salute), Giuseppe Ippolito (Spallanzani), Massimo Andreoni (Tor Vergata) e Giorgio Nardone (Centro di Terapia Strategica)

‘Covid-19 Il virus della paura’, ecco com’è nato il docufilm che punta sulla formazione di qualità. Venerdì la presentazione

L’idea di un docufilm formativo sul coronavirus è nata quando tutti ancora pensavano si trattasse solo di una vicenda locale che riguardava una città in Cina di cui non si era mai sentito parlare. Ad averla è stato Massimo Tortorella, presidente di Consulcesi, realtà da sempre attenta alle esigenze legali e formative dei medici. Era gennaio, rimasugli di panettoni e pandori nelle cucine e testa rivolta alle imminenti settimane bianche. Poi, è cambiato tutto.

Sarebbe lungo e complesso (anche se avvincente) il racconto dettagliato di quello che è accaduto in questi mesi di produzione del docufilm, che Sanità Informazione, media partner del progetto, ha avuto l’opportunità di seguire. Ci sono stati ostacoli, cambiamenti, discussioni, ma mai ripensamenti sulla necessità di creare questo prodotto, che nei mesi si è arricchito di un libro cartaceo, di un ebook e di una collana di corsi di formazione ECM offerta dal provider Sanità in-Formazione interamente dedicata al Covid-19. Ora, ‘Covid-19 Il virus della paura”, scritto da Manuela Jael Procaccia e diretto da Christian Marazziti, sta per vedere la luce, e verrà presentato venerdì 12 giugno alle ore 11.30 sulla pagina Facebook di “Consulcesi Club” con la partecipazione dei principali attori che sono intervenuti nel progetto: Giuseppe Ippolito (Direttore scientifico INMI Spallanzani), Ranieri Guerra (Direttore aggiunto OMS), Massimo Andreoni (Direttore UOC Malattie infettive Policlinico Tor Vergata) e Giorgio Nardone (Psicologo Psicoterapeuta, Fondatore del Centro di Terapia Strategica). L’evento sarà introdotto dai saluti del ministro della Salute Roberto Speranza e sarà moderato dalla giornalista del Tg5 Costanza Calabrese.

Per comprendere la struttura del docufilm non si può non ricordare brevemente la cronologia di quanto abbiamo vissuto in questi mesi. Dicevamo: al momento della genesi del progetto, il virus non era ancora in Italia (o almeno non sapevamo che lo fosse), eppure era chiara la consapevolezza di dover formare la classe medica sulla possibilità di un’epidemia causata da un virus sconosciuto, proprio come quel nuovo coronavirus con cui iniziavamo a prendere confidenza. Neanche il tempo di mettere a fuoco obiettivi e contenuti, che dopo qualche giorno in tarda serata è arrivato l’annuncio del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, il primo di quella che sarebbe stata una lunga serie: due turisti cinesi, in vacanza in Italia, erano risultati positivi al virus all’ospedale Spallanzani di Roma. Non potevano che essere loro, allora, i protagonisti del docufilm.

Nel frattempo, iniziava ad aumentare il numero dei cinesi contagiati presenti in tutto il mondo. Casi ‘importati’ di coronavirus che davano vita a sgradevoli episodi di discriminazione nei confronti delle comunità cinesi e di chiunque avesse anche lontanamente gli occhi a mandorla, accusati di ‘infettare’ la popolazione.

Il numero dei contagi e dei Paesi colpiti continuava a crescere, e il mondo assisteva a due episodi, non inediti ma amplificati dall’era digitale e social in cui viviamo: la nascita delle più fantasiose teorie sull’origine del virus e la monopolizzazione di tutti i mezzi di informazione. Complottismo la prima, infodemia la seconda, entrambe strettamente legate alla proliferazione di fake news.

Poi sono arrivati Codogno, il paziente 1, il lockdown, i canti sui balconi, i dibattiti tra gli esperti, gli operatori sanitari eroi, le drammatiche immagini dagli ospedali e dalle strade di Bergamo con quella fila di camion militari e bare. Le mascherine, le autocertificazioni, le pubblicità tutte uguali.

La paura.

La paura del contagio, di perdere gli affetti più cari, di perdere il lavoro. Di morire soli. È la paura ad aver caratterizzato quei due mesi e mezzo, e non è di certo un caso che i medici italiani, che hanno contribuito alla scelta del titolo del progetto, abbiano deciso di mettere l’accento proprio sul ‘Virus della paura’ per descrivere quello che stavamo vivendo. È la paura ad averci convinto della necessità di restare a casa. La paura dell’altro, improvvisamente untore. La paura del virus, invisibile e onnipresente, alimentata da quell’infodemia che non ci permetteva di pensare a nient’altro. È anche il virus della paura che i medici devono imparare ad affrontare, insieme al virus del Covid-19.

La paura ha portato la stragrande maggioranza degli italiani a rispettare le indicazioni del governo, a mettersi diligentemente in fila fuori i supermercati, a lavorare da casa e ad insegnare ai figli come seguire le lezioni online. Una piccola minoranza, però, ha messo i propri interessi e le proprie esigenze davanti a quelli della comunità, e si è riversata nelle stazioni cercando di fuggire dalle zone rosse, oppure oggi, nel pieno della fase 3, si rifiuta di indossare la mascherina.

Tutto questo, che oggi sembra quasi il racconto di un sogno particolarmente vivido o di un ricordo risalente a tanti anni fa, ha influenzato il docufilm ‘Covid-19 Il virus della paura’. Non poteva essere sufficiente il racconto dei due turisti cinesi dello Spallanzani. Il fenomeno era troppo grande, troppo sconvolgente, troppo traumatizzante per poter essere riassunto nella storia di due persone, né in qualunque altra storia vera. Da lì, allora, la necessità di affidarsi a quattro archetipi (una ragazza cinese discriminata, un giovane complottista che crede solo a ciò che scova su siti internet lontani dalla comunicazione ufficiale, una signora ipocondriaca che teme di contagiarsi anche bevendo dal suo stesso bicchiere, un uomo irresponsabile cui non importa delle misure per contenere la diffusione del virus) intorno ai quali si snodano le vicende e cui si alternano i commenti e gli approfondimenti clinici, psicologici, sociali e politici dei principali esperti del settore: oltre ai quattro professori che venerdì parteciperanno all’evento di presentazione, il docufilm ospita i contributi della dottoressa Maria Rosaria Capobianchi (Direttrice del laboratorio di Virologia dello Spallanzani, a capo del team che per primo ha isolato il virus), Alessandra D’Abramo (Infettivologa dello Spallanzani) e Stefano Marongiu (Infermiere dello Spallanzani, sopravvissuto ad Ebola).

Contributi a cui si aggiungono gli interventi dei tanti esperti di prim’ordine che firmano la collana di corsi ECM ‘Covid-19’. Il tutto con un unico motivo alla base, e un unico obiettivo da centrare: mai come ora è sotto gli occhi di tutti l’importanza di poter contare su medici e professionisti sanitari formati e aggiornati sulle novità cliniche e terapeutiche. Offrir loro corsi e progetti di altissima qualità che consentano di imparare e approfondire temi complessi in modo efficace ma al contempo piacevole è il minimo che si possa fare per dir loro, ancora una volta, grazie.

 

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