In Liguria il primo Dipartimento misto Università/Medicina del Territorio. Andrea Stimamiglio (FIMMG Liguria): «“Una casa comune” in cui si collabora ai fini di ricerche e sperimentazioni»
La medicina generale approda in università con il primo Dipartimento misto Università/Medicina del Territorio realizzato in Liguria, presso l’Università di Genova. Il progetto ha lo scopo di «coordinare la realtà universitaria e territoriale ai fini didattici e di ricerca», grazie a un percorso unitario volto a favorire la qualità e la capacità formativa. Per l’occasione abbiamo raggiunto telefonicamente Andrea Stimamiglio, segretario FIMMG Liguria.
Segretario, si tratta della prima esperienza in Italia. In cosa consiste?
«Innanzitutto, faccio presente che in quasi tutte le nazioni europee esistono dei veri e propri dipartimenti universitari di medicina di famiglia. Questo in realtà non è un vero e proprio Dipartimento universitario, nel senso che ad oggi nessun medico di famiglia è un universitario in Italia. Si tratta di una specie di “casa comune”, quindi un dipartimento misto dove ci sono gli universitari, ci sono i tutor – medici di famiglia – e ci sono anche rappresentati degli ordini dei medici attraverso la FROM, la Federazione regionale ordine dei medici e anche la Regione Liguria tramite l’assessore delegato. Quindi è intanto un primo passo, una casa comune in cui ci si parla e si collabora ai fini di ricerche e sperimentazioni, ma anche ai fini di funzioni che ad oggi sono prettamente universitarie, come per esempio il fatto di poter fare da relatore o correlatore a tesi di laurea oppure di fare delle lezioni agli studenti del quinto e del sesto anno. Questo è nato da un’esigenza degli studenti che iniziavano a chiedere di poter fare tesi di medicina di famiglia o iniziavano a chiedersi al quinto e al sesto anno, che cosa fosse la medicina di famiglia. Non dimentichiamo che in realtà, ad oggi, non c’è nessuna materia nel corso di medicina che parli della medicina di famiglia e viceversa: molte decine di studenti, fatto l’esame di Stato, decidono di diventare medici di famiglia un po’ al buio».
Questo è quindi un primo approdo della Medicina Generale in Università…
«Sì, forse ciò che ha contribuito alla nascita di questo dipartimento è stata una novità: ad oggi l’esame di Stato che comprende anche un esame pratico con internato, era un esame che si faceva post laurea. Invece è uscita una legge che dal 2021 anticiperà l’internato, si dovrà fare pre-laurea. C’è differenza, nel senso che prima era un qualcosa che si faceva dopo l’università, oggi invece si fa nel periodo universitario e quindi per quanto riguarda la frequenza presso la medicina di famiglia, l’Università di Genova ci ha chiesto una mano per l’organizzazione e quindi è scattata la richiesta di collaborazione per funzioni che teoricamente sarebbero prettamente universitarie».
Uno studente di medicina al sesto anno, cosa dovrebbe sapere per scegliere consapevolmente di diventare medico di famiglia?
«Oggi è una scelta al buio, nel senso che non c’è nessun seminario che illustri quali sono le caratteristiche della medicina di famiglia. Quindi quello che uno studente dovrebbe sapere lo dovrebbe sapere soprattutto in maniera pratica. Dovrebbe venire nei nostri studi e vedere che cosa succede. Da noi c’è una prima risposta ad esigenze molto diverse della popolazione. Possono avere un disturbo ortopedico, cardiovascolare oppure gastroenterologico, capita di tutto e molto spesso può essere anche un disagio psicologico o addirittura problemi sociologici. Un esempio può essere un mio paziente che non sapeva cosa fare con la moglie affetta da demenza, non riusciva a metterla in nessuna struttura e quindi mi ha chiesto un aiuto a me che sono il suo medico di famiglia. Mi sono trovato quindi a risolvere una situazione non dal punto di vista medico, perché la signora è già in terapia, ma da un punto di vista socio-assistenziale. La medicina di famiglia è molto complessa, ma non è la somma di tutte le singole specializzazioni, anche perché noi non possiamo essere specialisti in tutto. Tuttavia, è una prima risposta ad esigenze variegate e complesse».
Si pensa già di esportare questa esperienza fuori dalla Liguria?
«Sorprendentemente mi hanno telefonato da tutta Italia per capire come avevamo fatto. Credo che se un’esperienza simile di collaborazione partisse in due, tre, quattro Regioni, forse si potrebbe provare a fare una specie di bozza d’intesa anche a livello nazionale che vada bene per tutte le regioni».