«Non si può impedire ad un ragazzo di perseguire i suoi sogni per un test con domande di cultura generale. Non dimentichiamoci delle equipe straniere che sono venute in Italia per darci un supporto nei momenti peggiori della pandemia»
«È arrivato il momento di cambiare rotta perché il Paese ha bisogno di ben altro». Così il Prof. Avv. Francesco Paolo Tronca, già Prefetto di Milano, spiega ai nostri microfoni perché il numero chiuso per l’accesso alle facoltà di Medicina è un sistema da superare. «Non si può impedire ad un ragazzo di perseguire i suoi sogni per un test con domande di cultura generale. Abbiamo ancora ben chiare in mente le scene delle equipe straniere che sono venute in Italia per darci un supporto nei momenti peggiori della pandemia».
Professor Tronca, poche settimane fa gli studenti di tutta Italia hanno partecipato al test di ingresso alle facoltà di Medicina. qual è il suo punto di vista sul numero chiuso?
«Siamo in un momento in cui la sanità sta vivendo un carico pesantissimo di responsabilità nei confronti di tutto il Paese a causa dell’emergenza Covid. Fin dallo scorso febbraio abbiamo assistito ad alcune scene abbastanza inquietanti. Abbiamo visto equipe straniere venire in Italia per dare supporto al nostro Servizio sanitario; abbiamo assistito alla possibilità di richiamo, volontario naturalmente, di medici in pensione (con tutti i rischi legati a chi si espone al virus in età avanzata); abbiamo visto che l’esame di Stato è stato cristallizzato per consentire l’immediato ingresso in carriera dei nuovi medici. È evidente dunque che c’è stata, c’è e ci sarà (spero di no ma dobbiamo prepararci a tutto) un’esigenza di classe medica molto forte e molto pressante. E allora, davanti a questa emergenza, noi continuiamo a parlare di numero chiuso per l’accesso a Medicina? Francamente, andrebbe ripensato tutto il sistema: penso al sistema delle specialità e al sistema dell’organizzazione di questi medici che devono dare al nostro Paese e agli italiani quella serenità di cui tutti abbiamo bisogno».
Oltre ad una questione di esigenze del Servizio sanitario nazionale, secondo lei il numero chiuso è effettivamente un sistema meritocratico, anche alla luce delle varie irregolarità che vengono denunciate ogni anno?
«Non è tanto un problema di sistema meritocratico o meno. Il punto è che un giovane che avverte l’esigenza di dare la propria disponibilità alla classe medica non può essere rallentato o addirittura fermato in questo percorso, nella sua volontà di perseguire un obiettivo di vita, da un test preliminare di ammissione con domande di cultura generale. Ora, per carità, sono il primo a sostenere che la cultura generale è indispensabile per tutti. Ma se si fa un esame di accesso alla facoltà di Medicina, il test deve essere mirato a capire quantomeno la propensione e la preparazione specifica per poter affrontare quel corso di studi. Un giovane non può essere rallentato nel perseguimento dei propri obiettivi di vita da anomalie del procedimento che oggi sono assolutamente quanto mai inconcepibili. No, è arrivato il momento di cambiare rotta perché il Paese ha bisogno di ben altro».
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