Il deputato Cinque Stelle, medico specializzando, presenterà a breve il testo base della riforma che andrà in discussione a settembre a Montecitorio. Accesso al primo anno comune a diverse facoltà di area sanitaria e poi selezione in base agli esami e a un test
La riforma dell’accesso universitario inizia a prendere forma. Il lavoro effettuato nei mesi scorsi dalla Commissione Cultura della Camera dei deputati si concretizzerà in un testo che il deputato Cinque Stelle Manuel Tuzi, medico specializzando e relatore del provvedimento, depositerà nei prossimi giorni e che da settembre sarà base di discussione per l’esame di Montecitorio. Il numero chiuso (o numero programmato come qualcuno preferisce chiamarlo) non sarà abrogato, ma subirà una profonda rivisitazione: ci sarà un anno comune aperto per alcune professioni sanitarie (Medicina, farmacia, Chimica e Tecnologia Farmaceutiche, Biologia e Biotecnologie). Poi una selezione alla fine del primo anno in base agli esami sostenuti e a un test. L’obiettivo è partire con questo sistema dal 2021. «Ci sarà accesso libero al primo anno in maniera tale di offrire a tutti i ragazzi la possibilità di sperimentarsi e di capire se quello può essere il loro percorso. Ovviamente dopo ci sarà una selezione in itinere fatta in funzione degli esami, una condizione necessaria per poter accedere al test a soglia che ci immaginiamo alla fine del primo anno», sottolinea a Sanità Informazione Manuel Tuzi.
Resta da vedere se questo schema piacerà ai rettori, che lo scorso autunno hanno manifestato tutta la loro contrarietà all’abolizione del numero chiuso, caldeggiato tra gli altri da Matteo Salvini, e che sembrava imminente dopo un comunicato (poi ridimensionato) di Palazzo Chigi. La riforma pensata da Tuzi prevede però anche due riforme collegate: da una parte un nuovo percorso per la laurea abilitante, e dall’altra un potenziamento dell’orientamento scolastico: «Se noi arriviamo ad avere 67mila candidati al test di medicina è segno che l’orientamento a monte non funziona», aggiunge Tuzi.
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Onorevole, lei ha il compito di redigere il testo sulla riforma dell’accesso universitario e su cui state lavorando da molto tempo. Quali saranno i punti da cui si partirà?
«L’obiettivo di questa riforma è cercare di andare a individuare tutte quelle che erano le criticità esistenti ma soprattutto andare a tamponare quella che è una emergenza. Ovviamente parliamo di una riforma strutturale attesa da molto tempo. Anche perché il prossimo anno noi avremo 24mila possibili candidati nell’ambito del settore delle specializzazioni mediche, segno che il sistema così non regge. Non è possibile così immaginare di mettere soldi in più. Va cambiato il meccanismo, questo è l’augurio, attraverso il contratto di formazione lavoro. L’obiettivo è cercare di cambiare totalmente il paradigma».
Si parlava di esami comuni alle professioni sanitarie e poi di un test. È così?
«Noi immaginiamo un percorso che parta dalla scuola, dall’orientamento scolastico. Soprattutto per dare maggiori indicazioni ai ragazzi che escono dal liceo. Se noi arriviamo ad avere 67mila candidati al test di medicina è segno che l’orientamento a monte non funziona. Va strutturato meglio, va perfezionato. Pensiamo di creare una piattaforma MOOC che sarà fatta dalle principali università attualmente pronte per erogare dei corsi di orientamento. La riforma, che immaginiamo possa partire dal 2021, prevede un’area comune sanitaria all’interno del quale ci sarà Medicina e Odontoiatria. Attualmente in discussione ci sono Farmacia, Chimica e Tecnologia Farmaceutiche, biologia e biotecnologie ma se ne stanno valutando diversi in funzione dell’attinenza e delle similitudini del percorso dei primi due anni. Le professioni sanitarie, avendo tirocini il primo anno, non possono essere inserite in questo contesto. Noi immaginiamo di far sperimentare i ragazzi dopo un percorso fortemente selettivo e di orientamento negli ultimi tre anni delle scuole, successivamente ci sarà questo accesso libero al primo anno in maniera tale da dare a tutti i ragazzi la possibilità di sperimentarsi e di capire se quello può essere il loro percorso. Ovviamente dopo ci sarà una selezione in itinere fatta in funzione degli esami, quindi sulla capacità di portare a casa dei risultati, una condizione necessaria per poter accedere al test a soglia che ci immaginiamo alla fine del primo anno».
Dunque il numero chiuso resta ma dopo il primo anno e profondamento modificato…
«Penso sia follia abolire il numero chiuso anche perché non c’è né l’infrastruttura né la necessità organica da parte del sistema sanitario. Sicuramente c’è una carenza forte di medici e questo deriva da una mancanza di investimento negli ultimi dieci anni. Se noi ci troviamo al collasso e al rischio chiusura dei Pronto soccorso, soprattutto con una carenza così generalizzata, è dovuto al mancato investimento nella specializzazione: quella è l’emergenza vera e propria. Ovviamente noi con questa riforma ci immaginiamo di andare a rivedere la riforma della legge 264 del 1999 che parla dell’accesso universitario ma anche la 368 del 1999 che è la riforma cardine del settore delle specializzazioni».
Voi avete ascoltato anche esponenti del mondo dell’università. Siete d’accordo con questo meccanismo?
«È un meccanismo all’avanguardia, da tanti ci sono arrivati opportune segnalazioni e suggerimenti importanti relativi al finanziamento all’università. Il problema degli ultimi anni è stato che si è teso a chiudere sempre di più l’accesso all’università costringendo gli stessi professori a portare avanti persone che non avevano magari le possibilità o le condizioni formative per essere portati alla laurea. Questo ha comportato un ampliamento del numero di medici ma allo stesso tempo ha creato una distorsione di quello che era il sistema di erogazione del finanziamento aggiuntivo per le università. Quindi si aveva questo paradigma, tante più persone mi porti alla laurea e tanti più finanziamenti riceve l’università. Dobbiamo cambiare questo meccanismo, puntando a incentivare le infrastrutture, puntando ad incentivare l’innovazione digitale ma nello stesso tempo per tutte quelle università che decidono di ampliare la platea delle persone da formare, quindi degli stessi studenti».
Il bando di specializzazione è arrivato ma dopo il test. Gli aspiranti specializzandi erano un po’ contrariato per questo. IN futuro si riuscirà a evitare questo problema?
«Devo dire che da persona che ha fatto quel test so benissimo che per molti aspetti è vergognoso far uscire il numero di posti successivamente all’effettuazione dello stesso test. Al di là di questo, è bene che siano usciti, sono comunque aumentati. Quest’anno si è ridotto l’imbuto formativo grazie all’investimento fatto da questo governo. Non è sufficiente e ne siamo consapevoli. Per questo va rivisto il meccanismo. Noi accanto a questa riforma immaginiamo di introdurre il percorso della laurea abilitante. Io ho lavorato quest’anno per abbattere la vecchia e finta laurea abilitante fatta dal Pd la scorsa legislatura perché portava ad effettuare il tirocinio all’interno dell’università ma il test a spostarlo dopo la sessione di laurea. Invece noi immaginiamo in questo percorso di riforma di portare il test teorico all’interno del percorso di laurea. Quindi di dare la facoltà a tutte le persone di accorciare il loro percorso e quindi di laurearsi e abilitarsi allo stesso tempo».