Il Direttore Medico e Scientifico dell’azienda farmaceutica spiega cosa si intende per “paziente esperto” e in che modo questa figura rivoluzionerà il mondo della ricerca farmacologica grazie alla formazione e al coinvolgimento diretto nella ricerca
Il ruolo del paziente è destinato a cambiare. E ad essere sempre più centrale, anche nella ricerca sul farmaco. Ne è certo il dottor Giuseppe Recchia, Direttore Medico e Scientifico di GSK Italia, intervenuto alla sessione del Festival della Scienza Medica di Bologna dedicata al paziente esperto e al patient engagement. Se per lungo tempo il paziente è stato considerato mero oggetto della ricerca e sviluppo del farmaco, oggi il suo ruolo sta evolvendo per diventare un nuovo attore di ricerca. Ma affinché questa trasformazione avvenga, è necessario che il paziente sia “esperto”, abbia cioè esperienza della malattia e competenza della patologia dalla quale è interessato da sviluppare anche con appositi corsi frequentati in aula o via web.
Dottor Recchia, in che modo il ruolo del paziente cambierà nei prossimi anni?
«In realtà i primi accenni di cambiamento, che rivoluzioneranno la ricerca sul farmaco, si sentono già, e sono sostanzialmente legati a due fattori: da una parte la trasformazione digitale, che ci permetterà di fare cose che oggi nemmeno immaginiamo – basti pensare alla possibilità segnalare i dati da casa o in movimento, senza dover recarsi in ospedale -; e, in secondo luogo, proprio grazie a queste novità il paziente acquisisce un ruolo diverso per la sua capacità di fare ricerca in prima persona. Esistono già oggi, ad esempio, delle organizzazioni, come “Patients like me”, che invitano i pazienti a condividere i dati sulla loro malattia».
E in che modo questa condivisione può aiutare la ricerca sul farmaco?
«Attraverso questa condivisione si riesce a capire la malattia, il percorso dei pazienti, tutta una serie di informazioni che altrimenti non sarebbero disponibili. Nasce quindi una collaborazione con il paziente per la ricerca accademica o dell’industria farmaceutica».
In questo scenario cosa si intende per “paziente esperto”?
«Per dar vita a questa collaborazione, affinché il paziente fornisca una consulenza, non è sufficiente che abbia vissuto l’esperienza della sua malattia o delle malattie che ha conosciuto in veste di caregiver, ma deve affrontare un percorso di studio, un percorso che può essere più o meno formale: personalmente ritengo che ci si possa documentare anche su diversi siti o si possano guardare anche delle brevi clip; ma ciò che è importante è il desiderio di voler contribuire al benessere degli altri e mettere a disposizione la sua esperienza e il suo expertise per migliorare l’assistenza o la ricerca».
Questo nuovo ruolo del paziente può, secondo lei, migliorare anche l’aderenza alle terapie?
«Certamente. In Italia il tasso di aderenza alle terapie per la bronchite cronico ostruttiva è meno del 15%. Questo vuol dire che solo una persona su otto oggi prende in modo regolare e corretto il farmaco. È da 20 anni che ci chiediamo come possiamo migliorare. Probabilmente serve qualcosa di nuovo e questo qualcosa di nuovo è il contributo di un soggetto, il paziente, che fino ad oggi non ha potuto esprimere questo contributo in modo diretto».
Tuttavia si parla spesso di fake news. Quanto è importante, quindi, fornire strumenti accreditati a coloro che intendono iniziare questo percorso formativo?
«Ci sono le fake news, certamente, e ci siamo posti il problema, infatti di chi potesse certificare la formazione del paziente esperto. Noi riteniamo che il paziente possa autocertificare la propria expertise e che una parte terza possa certificare il percorso affrontato, ma non se quel paziente sia effettivamente esperto. Se lo è o meno sarà poi la vita reale a provarlo, si vedrà nel momento in cui si troverà a dover condividere le sue opinioni con altri che lo reputeranno esperto o non esperto. Ma ciò che è certo, e che mi preme sottolineare ulteriormente, è che nel 2020 avremo un modello di sviluppo del farmaco che sarà fortemente guidato dalla tecnologia e dalla collaborazione con il paziente. Saranno questi i fattori che ci permetteranno di avere farmaci sviluppati meglio e terapie che saranno utilizzate meglio rispetto ad oggi».