Dalle corsie dell’Istituto geriatrico Redaelli alle aule della Statale per il test di Medicina: «Sono curioso ed appassionato della materia, avevo deciso prima del Covid»
Il Covid non ha influito più di tanto nelle scelte dei candidati all’ultimo test di Medicina. La determinazione con cui hanno affrontato la prova per diventare medico è la stessa degli altri anni. Come quella mostrata da chi è già in possesso di una laurea in professioni sanitarie ma ha scelto di intraprendere questo percorso per una crescita professionale, con il desiderio di tornare in corsia con il pass da medico.
«Nel complesso è andata bene», dichiara soddisfatto un giovane con i capelli raccolti, gli occhi che brillano e un sorriso nascosto dietro la mascherina mentre con i compagni lascia l’aula Magna dell’Università Statale di Milano al termine del test. Gli chiediamo un commento. Non ha molta voglia di parlare, ma è gentile e si ferma a rispondere alle domande dei cronisti. C’è chi lo incalza sulle domande e sulla difficoltà del test, chi vuole un parere sul numero chiuso e su eventuali scelte alternative se non dovesse andare bene. Lui non si sottrae ma perentorio dice «io già lavoro, sono alla seconda laurea». La piccola folla si dirada, la curiosità su commenti post esame ha il sopravvento e i colleghi si spostano a caccia di altre battute. Noi no, la sua dichiarazione ci incuriosisce e cerchiamo di saperne di più.
«Sono un professionista sanitario, mi piace il mio lavoro e ho voglia di approfondire la materia». Un’ammissione che riporta la mente agli eroi delle corsie, lui è uno di loro. «Lavoro all’Istituto Redaelli geriatrico di Milano – ci racconta –. Abbiamo affrontato in prima linea il Covid, uniti come una squadra, e siamo riusciti a superare i momenti più difficili grazie allo spirito di gruppo. Questo è il ricordo più forte che conservo dei lunghi mesi trascorsi in corsia ad affrontare un virus sconosciuto». Turni interminabili, gli occhi di chi sa di morire e vorrebbe salutare per l’ultima volta i nipoti, ma gli è impedito, essere stato custode delle ultime parole di tanti anziani, lottare spesso a mani nude contro un mostro trasparente che si vede e si manifesta spesso solo quando è tardi. C’è tutto questo nel bagaglio del giovane infermiere.
Eppure, quando gli chiediamo se il Covid ha influito sulla sua scelta, la risposta è tutt’altro che scontata. «No – ci dice -. Non è stato il coronavirus o la voglia di saperne di più su un nemico invisibile, quanto terribile, ad avermi convinto. Ho maturato questa decisione prima della pandemia, sono curioso e appassionato della materia». Salutiamo questo giovane che sta tentando la strada della carriera medica con l’auspicio e la speranza che la sua passione non resti imprigionata nella ragnatela del numero chiuso.
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