Sono 17.400 le borse di studio a disposizione dei neolaureati in Medicina per le specializzazioni. Molti festeggiano ma non si illudono: lo stesso aumento si deve riverberare sui contratti di lavoro oppure ci sarà un nuovo imbuto formativo
Dopo tre ore e mezza e 140 quesiti a risposta multipla, i ragazzi coinvolti nel test di ammissione alle Scuole di specializzazione in area medica a Roma si riversano sul piazzale dell’hotel Ergife. La discussione è fitta sugli argomenti comparsi e sui punteggi, che ognuno di loro conosce già alla fine della prova senza sapere se basteranno.
«Domande variegate di ragionamento, c’erano anticoagulanti ed embolia polmonare – ci racconta una di loro -, qualcuna ce la aspettavamo ma è stato difficile rispetto agli anni passati e più o meno equivalente allo scorso anno. L’ho trovato molto impegnativo». Per ognuno di loro superare il test e aggiudicarsi una delle 17.400 borse a disposizione significherebbe migliorare la propria formazione e inseguire un sogno di realizzazione.
Alcuni lo dichiarano: neurologia, ematologia, ginecologia. Altri preferiscono osservare la superstizione «Io voglio fare l’ortopedico – ci racconta uno di loro – per me è l’unica strada possibile. Spero di riuscire a risultare idoneo per questo percorso, in caso contrario riproverò e se non dovessi riuscire andrò all’estero».
Le borse di studio quest’anno sono duemila in più rispetto allo scorso, in cui erano state 5mila in più rispetto al 2019. L’effetto pandemia che ha sottolineato quanto il Sistema sanitario nazionale si stesse svuotando: specie di determinati professionisti. I candidati ne sono entusiasti, sebbene ribadiscano la necessità di un ampliamento conseguente dei contratti. «Dovrebbe partire tutto da lì – ci spiega una dottoressa -, aumentare i posti di lavoro e quindi di conseguenza le borse di specializzazione e poi i posti a Medicina. Se non c’è questa scala gerarchica è difficile: si rischia che tanti specialisti non riescano ad entrare in ambito ospedaliero e debbano aprirsi uno studio privato».
Ai giovani medici di domani interessa prima di tutto formarsi bene. «Il sistema formativo deve essere in grado di assorbire il maggior numero di studenti che andrà a specializzarsi. Se invece succede che alcune scuole, come sta già accadendo, si trovino un surplus di persone per le loro capacità gestionali, si rischia di non potersi preparare al meglio», aggiunge un collega.
Per tanti l’estero è ancora una strada aperta. La “fuga di cervelli” ormai proverbiale è una corsa lontano dall’imbuto formativo, prima dopo l’università e poi dopo la specializzazione. Alcuni raccontano di aver già valutato le possibilità: Francia, Spagna o Germania con un buon corso di lingua. Oppure la Svizzera, dove prendendo appuntamento con un professore si può cominciare un percorso formativo di propria scelta.
«Io ci ho pensato – conferma una dottoressa appena uscita – è che all’estero la professione del medico è vista diversamente. In Italia si fatica tanto anche solo per iniziare a lavorare e poi si fanno moltissime ore di straordinario senza una remunerazione adeguata. Fuori si guadagna meglio e c’è una possibilità di crescita che spesso in Italia è sbarrata dalle “conoscenze” altrui».
Presente di fronte all’Ergife anche il network legale Consulcesi. «Siamo qui a supporto degli aspiranti specialisti – spiega Sara Saurini, Legal Communication Manager Consulcesi – con l’aumento di contratti di formazione si è fatto un primo passo ma bisogna fare ancora tanto. La specializzazione è un passo obbligato per chi vuole esercitare la professione di medico, non è possibile che ci siano ancora sbarramenti. Il sistema va riformato in una nuova modalità che supporti il Ssn e i pazienti. Noi ascolteremo le loro storie e cercheremo di supportarli nelle aule di tribunale per contestare le irregolarità che riscontreranno».
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