Il calcolo del fabbisogno nazionale di sanitari è alla base dei posti previsti per Medicina di anno in anno. Eppure, in Italia c’è ancora carenza di medici. Questo vulnus è alla base delle vittorie nei ricorsi, vediamo cosa succede
Salito alla ribalta durante la campagna elettorale, il tema del numero chiuso a Medicina (e della sua abrogazione) sembra già essere tornato ad essere solo un ricordo. Dietro questa repentina ritirata, sia dei politici che ne facevano programma elettorale che di quelli che lo avversavano, c’è la consapevolezza che, così com’è, la situazione della facoltà di Medicina in Italia sia difficile da modificare. Carenza di aule, di insegnanti e di possibilità di una formazione completa, specie sul campo, sono le primarie motivazioni.
La credenza comune è che siano principalmente gli studenti a desiderare la fine del numero chiuso a Medicina. Con motivazioni piuttosto semplici da intuire: prima tra tutti la possibilità di accedere liberamente al proprio progetto lavorativo. In realtà non è proprio così. Sanità Informazione segue da anni i test di Medicina e i candidati interpellati fuori dalla facoltà non si mostrano mai totalmente contrari al numero programmato. Anzi, in molti ne riconoscono l’utilità per quelle problematiche già elencate. Per contro, tutti sostengono che il numero di posti calcolati ogni anno sia troppo basso. E non hanno torto.
Il numero di posti alla facoltà di Medicina esce a fine giugno nel bando ministeriale e si basa sul calcolo del fabbisogno di personale sanitario che ogni anno viene operato dalle singole Regioni. Subito dopo la consegna dei dati, si stila il fabbisogno nazionale di medici e professionisti sanitari e si regolano anche i futuri ingressi nella facoltà di Medicina e nelle singole Professioni Sanitarie. Nel 2022 i posti a Medicina erano 14.740. In netto rialzo rispetto agli anni precedenti: nel 2017 erano solo 9.100, nel 2019 poco più di 10.000. Questo perché i fabbisogni erano molto più contenuti e ancor di più lo erano quelli previsti per le specializzazioni. Una coincidenza ben poco felice quando la gravità di questo budget al ribasso ha colpito più diro che mai durante la pandemia da Covid-19, con l’Italia costretta a chiedere medici in prestito da Cuba e dall’Albania.
I posti così esigui anche per le specializzazioni hanno poi negli anni prodotto quell’imbuto formativo che solo l’aumento di questi anni ha contribuito a risolvere. Ed è servita una pandemia perché si agisse concretamente sul numero di ammessi. Allora, se il problema è risolto, perché si parla ancora così spesso di carenza di medici e professionisti sanitari? In Calabria il presidente di Regione Roberto Occhiuto è stato pesantemente criticato per aver siglato un accordo con il governo cubano per l’assunzione di circa 500 medici stranieri. La giustificazione è stata la necessità in quel momento di estinguere una carenza che stava diventando pericolosa per la sanità calabrese. Se si è arrivati a questo punto, anche in Sicilia è successo lo stesso con medici argentini, è perché il sistema del calcolo dei fabbisogni chiaramente funziona male.
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Il calcolo del fabbisogno è fatto sempre al ribasso, basato su troppe variabili e rivisto da troppe “penne” differenti per portare una fotografia reale della situazione italiana. Chi ne soffre sono proprio i giovanissimi che sognano di diventare medici e che perdono il loro posto anche solo per un quesito con risposta sbagliata (su 100). Una conferma reale che questa situazione non sia un’invenzione di chi non riesce a entrare passa dai risultati dei ricorsi al TAR vinti negli anni.
La principale motivazione che porta i ricorrenti a vincere le proprie cause è infatti proprio il fabbisogno falsato. Significa che il giudice riconosce il numero di medici necessario previsto per la Regione in cui i candidati hanno fatto il test come troppo esiguo per le effettive esigenze regionali. È successo in Sardegna, in Basilicata e in Puglia nell’ultimo anno. Dunque reputa che i candidati che hanno fatto ricorso meritino di frequentare la facoltà di Medicina in quanto si dimostreranno utili per il Sistema sanitario della Regione di provenienza di lì a 6 anni.
L’ultimo report di AGENAS lo dimostra ulteriormente. Con il blocco delle assunzioni, si legge, si è interrotta la regolare alimentazione dei ruoli e si è creata la “gobba pensionistica”. Cioè quel fenomeno per cui ci sono molti pensionati che lasciano il lavoro e pochi nuovi professionisti pronti a prendere il loro posto (e a pagare la loro pensione). L’offerta formativa incrementata è stata solo «parzialmente efficace» scrive AGENAS. Sottolineando che due categorie nello specifico sono a rischio: infermieri e medici di medicina generale. La base portante di quell’assistenza territoriale che il PNRR dovrebbe portare alla ribalta.
I medici di medicina generale sono giudicati sufficienti dal fabbisogno, ma risultano contemporaneamente inferiori alle medie UE e non omogeneamente distribuiti sul territorio. Carenti, scrive AGENAS nel repost, nelle zone a bassa densità abitativa o con condizioni geografiche disagiate. Com’è possibile che risultino abbastanza per il fabbisogno e invece manchino nella realtà?
La richiesta dei candidati a Medicina di aumentare ulteriormente i posti in facoltà, rivedendo il calcolo del fabbisogno nazionale, non sembra assurda facendo questa lettura. Altrettanto sensata sembra la scelta del ricorso, visto che il posto di cui ogni singolo ragazzo si vede privato potrebbe essere uno di quelli di cui l’AGENAS ribadisce l’Italia abbia bisogno. Questa è la direzione in cui la politica dovrebbe muoversi, spostando il dibattito dalla campagna elettorale all’aiuto concreto.
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