Pierino Di Silverio di Anaao Giovani a Sanità Informazione: «Abbiamo sviluppato un algoritmo che consente di calcolare il fabbisogno reale di medici nei prossimi anni. Dobbiamo ridurre gli accessi a medicina ed aumentare le borse per la formazione post lauream»
In Italia mancano i medici, ma ci sono migliaia di medici che non possono lavorare. Numerose associazioni di studenti richiedono l’abolizione del numero chiuso, e quindi dell’accesso programmato alle facoltà di medicina, ma poi centinaia di neolaureati si ritrovano nell’impossibilità di proseguire il percorso formativo, perché non ci sono posti sufficienti per la formazione specialistica e di medicina generale. I medici che vanno in pensione non vengono sostituiti dai giovani e la sostenibilità delle pensioni stesse andrà progressivamente ad aggravarsi. Intanto, la popolazione italiana invecchia, le malattie croniche aumentano e nei prossimi anni la necessità di cure sarà sempre maggiore.
Secondo l’Anaao Giovani una soluzione a questo circolo vizioso c’è e si chiama corretta programmazione. Si può ottenere tramite un mero calcolo matematico, un algoritmo che tenga in considerazione diversi aspetti: dal tasso di ospedalizzazione al numero di posti letto ogni 1000 abitanti, dai giorni di degenza media al numero di medici del SSN. Combinando questi dati in due vere e proprie formule matematiche, è possibile calcolare il carico di lavoro medico nazionale (il fattore human) e la quota di medici specialisti necessaria.
Dai calcoli risulta che il Servizio Sanitario Nazionale ha bisogno di 21529 medici in più, pari ad un aumento del 19,6% dell’attuale comparto medico. Per poter raggiungere il pareggio nei prossimi 10 anni, servono 3228 borse di studio per la formazione specialistica in più all’anno, oltre alle attuali 6100 circa.
«Ad oggi per il calcolo del fabbisogno di medici – spiega Pierino Di Silverio di Anaao Giovani – lo Stato ragiona senza definire la reale carenza di medici. Noi abbiamo invece tenuto in considerazione anche il disagio della popolazione, il lavoro reale che occorre al medico per curare un paziente e i nuovi standard del DM 70».
Tre le proposte individuate per far fronte alla situazione e rendere economicamente sostenibile l’aumento dei contratti di formazione specialistica. La prima prevede un contributo da parte delle Regioni che, con poco più di 9 milioni di euro l’anno ciascuna, potrebbero finanziare i circa 1800 contratti necessari per far fronte al fabbisogno regionale. La seconda introduce la formazione nei Teaching Hospital con un contratto ad hoc di formazione medica abilitante a tempo determinato, con finanziamento integrativo regionale che, nei diversi scenari proposti dallo studio, consentirebbe la stipula delle nuove borse necessarie. La terza prevede l’introduzione della scelta di optare per la libera professione extramuraria per gli specializzandi, riducendo il loro compenso mensile di 200 euro: se un medico in formazione su 4 scegliesse questa opzione, si risparmierebbero poco meno di 14 milioni di euro.
La ricetta di Anaao però non consiste solo nell’aumento delle borse, ma anche nella riduzione dei posti per l’accesso alle facoltà di medicina: fino all’Anno Accademico 2022-2023 gli accessi annuali a medicina dovrebbero essere ridotti a 6200 (contro gli attuali 9mila circa). «È inutile continuare a sfornare medici, ognuno dei quali costa allo Stato circa 150mila euro, se poi non possono continuare a studiare – spiega Di Silverio -. Ogni anno restano infatti fuori da ogni canale formativo circa 1300 medici. E si stima che, senza modificare la programmazione, nel 2022-2023 saranno diventati quasi 24mila i medici che non riusciranno ad accedere alle specializzazioni».
«Ma il problema – prosegue – è che l’Italia è l’unico Paese in Europa in cui senza la specializzazione non puoi entrare in ospedale. E che fine fanno questi medici? Stanno a zonzo o vengono sfruttati o sottopagati per svolgere lavori di seconda scelta in cliniche convenzionate, senza contratto, senza tutele e soprattutto senza contributi, e quindi probabilmente non arriveranno mai alla pensione. Nei Paesi europei invece un medico neolaureato può chiedere di entrare in qualsiasi ospedale, del suo Paese o di altri Paesi europei (tranne l’Italia) con un rapporto legato alla normativa nazionale e compatibilmente con la presenza di posti disponibili, entrando in un programma formativo progressivo che lo porta a raggiungere l’esperienza e i titoli di specialista nella materia».
«E in tutto questo – continua Di Silverio – c’è da dire anche un’altra cosa: che nell’errato fabbisogno fatto dallo Stato e dalle Regioni c’è anche un errato fabbisogno in termini di specializzazioni, perché per alcune branche l’esigenza è molto minore, ma per altre è sempre crescente. Il rischio è allora di sfornare troppi laureati, formare pochi medici e formarli nelle specializzazioni sbagliate, perché magari di quelle non ce ne sarà bisogno e ne saranno necessarie altre. È tutto da rifare, insomma».
«Il bello è che fino ad oggi – prosegue – lo Stato questo problema non se lo è posto. La cosa paradossale è che non c’è un solo tavolo tecnico che coinvolga le parti in causa per analizzare la situazione. Noi l’abbiamo chiesto più volte, gli abbiamo dato la ricetta, gli abbiamo fatto i conti, conti che poteva fare lo Stato stesso perché i numeri non sono i nostri, noi abbiamo solo fatto due più due. Adesso abbiamo presentato questo algoritmo ma non abbiamo ricevuto alcuna risposta. Certo, si tratta solo di numeri, ma non dimentichiamoci che questi numeri valgono la salute della gente».