Alla luce dell’esperienza Covid, il webinar organizzato da Big Data Health Society accende i riflettori sull’importanza dei processi di gestione del dato per costruire una sanità migliore
La pandemia ha rappresentato lo stress test per eccellenza per il nostro Ssn, anche dal punto di vista dell’utilizzo dei dati sanitari. Oggi si pone quindi la necessità di implementare e ottimizzare il data management in sanità, per ripensare nuovi modelli di assistenza territoriale ma anche nuove figure professionali dedicate alla gestione dei flussi di dati e, in generale, la futura governance delle informazioni in ambito sanitario. L’evidenza, infatti, è che un corretto utilizzo dei dati rappresenta oggi una delle leve fondamentali per una efficace programmazione sanitaria ed innovazione del sistema. Su questi temi ha acceso i riflettori il webinar organizzato da Big Data in Health Society, intitolato “Big Data 4 Digital Health Management: l’impatto dei big data nel Ssn”.
«I dati in sanità sono fondamentali – esordisce Nicola Gentili, ICT Società Italiana Medici Manager – purché siano “di qualità”. E questa qualità dipende strettamente dalle procedure nei suoi utilizzi. Uno dei problemi emersi durante la pandemia è stato la non omogeneità nel trasferimento dei flussi dei dati. C’è sicuramente una necessità di sviluppare profili professionali ad hoc, perché la gestione del dato e del suo utilizzo in sicurezza richiede processi e competenze non banali. L’obiettivo – continua Gentili – è rendere il sistema sanitario più performante per il suo destinatario, cioè territorio e cittadinanza».
Mentre è un vero e proprio grido d’allarme quello di Roberto Triola, capo area Trasformazione Digitale in Farmindustria: «I dati salvano vite, averli a disposizione e non poterli usare per la ricerca scientifica genera un problema etico ancora sottostimato. É un tema in parte sacrificato sull’altare della privacy, ma derivante soprattutto dall’organizzazione a silos dei dati tipica del nostro paese che ne comporta un sottoutilizzo. Sappiamo invece oggi che il modello vincente è quello della decentralizzazione, composto da reti federate e integrate. Credo inoltre – prosegue Triola – che il nodo cruciale non sia il dialogo tra Stato e Regioni quanto investire nella formazione, nell’alfabetizzazione digitale della popolazione. La tecnologia deve essere un ponte tra assistenza territoriale e ospedaliera. Sicuramente rafforzare il Fascicolo Sanitario Elettronico sarà un punto a favore previsto dal PNRR».
La medicina generale si pone come cartina al tornasole dei processi di digitalizzazione. «I mmg sono stati sotto accusa troppo spesso per la gestione e raccolta dei dati sanitari in pandemia – afferma Iacopo Cricelli, AD Genomedics -. Personalmente sono ottimista circa il futuro: l’uso primario del dato in medicina generale può già giovarsi di un ottimo livello di informatizzazione, mentre l’utilizzo secondario attualmente è a macchia di leopardo in Italia, ma è già a un livello che rende possibile attuare studi e ricerche. Si tratta ora di cucire insieme i dati e farli transitare in un hub centralizzato. Il Fascicolo Sanitario Elettronico è certamente uno strumento cardine per l’uso secondario dei dati e la gestione degli outcome».
Altro nodo centrale, quello della sicurezza del dato. «Il tema della sicurezza del dato è integrato con quella della sicurezza delle cure – afferma Rita Petrina, General Manager HSM del Gruppo Consulcesi -. Sul piano degli investimenti abbiamo le condizioni per essere pronti, in più abbiamo un grande bagaglio di conoscenze dal passato, e se i processi di digitalizzazione avanzano di pari passo con i progressi clinici si costruisce un modello vincente: è chiaro ormai che l’innovazione e l’informatizzazione sono leve strategiche per migliorare l’organizzazione e l’offerta sanitaria. Importante è lavorare sia per territori che per singole strutture: abbiamo in entrambi i casi già molti modelli virtuosi, ma è chiaro che il maggior contributo verrà apportato dalle Regioni in quanto hanno il polso della situazione territoriale».
«Altro elemento fondamentale – sottolinea Petrina – è la formazione, non solo sull’utilizzo degli strumenti digitali ma atta a responsabilizzare sulla normativa in merito e sulla prevenzione del rischio aziendale. É inoltre essenziale lavorare a livello di governance anche nella pubblica amministrazione per quanto riguarda il settore dell’informatizzazione. Perché la valutazione su quale dato sia realmente necessario e quale no è un fattore da mettere a sistema».
In chiusura, la panoramica offerta da Luca Bolognini, presidente dell’Istituto Italiano privacy e valorizzazione dati, sulle prospettive cui il nostro Paese sembra andare incontro. Rosee, se confrontate col passato, ma con alcuni passaggi importanti da non trascurare. «Stiamo uscendo da un passato che è stato un inferno di antitecnologia, mancanza di competenze digitali e in materia di protezione dei dati. Dati che per anni sono apparsi come insormontabili ostacoli di carattere etico. Ora – continua Bolognini – in un momento in cui vediamo finalmente la luce, si tratta di capire come utilizzare al meglio questo potenziale, come valorizzare tecnologie e dati per obiettivi primari come la salute delle persone, ma anche come poter declinare questi dati per ulteriori livelli di prestazioni, come la ricerca scientifica. La regolamentazione di tutto questo, la normativa, rappresenta un’opportunità, non un bastone tra le ruote. L’autorità, in questo ambito e nel nostro Paese il Garante per la privacy, non è un censore, ma un accompagnatore che assume il ruolo di cabina di regia per sbloccare modelli e progetti virtuosi. Il momento è propizio e il terreno è fertile: abbiamo il PNRR e siamo in una fase in cui gli Stati membri dell’UE devono precisare le regole relative al trattamento dei dati personali sulla salute. I modelli di data protection e cybersecurity – conclude – dovrebbero diventare la normalità, a tutti i livelli sia nel settore pubblico che privato».
Iscriviti alla Newsletter di Sanità Informazione per rimanere sempre aggiornato