Intervista all’avvocato Marco Croce, della rete di studi legali di Consulcesi & Partners: «Altamente lesivo per la salute psichica e fisica della persona non avere adeguata alternanza tra lavoro e riposo»
La carenza di organico nel Servizio sanitario nazionale porta spesso e volentieri le aziende sanitarie ad abusare della pronta disponibilità del personale. Un problema che si è aggravato con l’arrivo della pandemia e a causa degli operatori sanitari che sono stati sospesi dopo aver rifiutato il vaccino contro il Covid-19. Ma cosa può fare un professionista per tutelarsi? Lo abbiamo chiesto all’avvocato Marco Croce, della rete di studi legali di Consulcesi & Partners.
«Le 6 chiamate sono il limite che la contrattazione collettiva pone come soglia per il coinvolgimento di ogni dipendente sanitario. Chiaramente, una intensificazione delle chiamate che superi questo limite comporta un aggravio notevole per la persona, la quale non soltanto deve essere a disposizione ma si ritrova nella situazione di essere costantemente priva di tranquillità, costantemente pronta ad una repentina reperibilità. Pensiamo a cosa significhi dover stare metà delle notti di un mese sostanzialmente in dormiveglia perché può succedere qualcosa che richieda il nostro intervento. Questa situazione è compatibile con uno scenario bellico, ma in una situazione di normalità non avere un’alternanza tra quotidianità del lavoro e riposo è altamente lesivo della salute fisica e psichica della persona».
«Un corto circuito tra situazioni e norme reali, tra previsioni della contrattazione collettiva ed esigenze quotidiane delle strutture lavorative, esiste. O almeno ci può essere. Le carenze d’organico incidono sulla qualità delle prestazioni e sulla qualità di vita dei lavoratori. Se una struttura è condotta bene dalla direzione aziendale, in via generale non c’è nessun problema. Se invece il dipendente sanitario è costretto a sopperire, attraverso un uso massivo di turni di reperibilità e di turni di pronta disponibilità, alla carenza d’organico e alla mancanza di un numero sufficiente di colleghi, in quel momento, a mio avviso, è automatico e ineludibile un calo di qualità delle prestazioni, e quindi un decremento delle soglie di sicurezza delle stesse attività assistenziali. È un allarme che in queste situazioni va senz’altro lanciato».
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«In presenza di dati oggettivi e documentati che riguardano un abuso della pronta disponibilità che, se protratto nel tempo, abbia causato danni individuali alla risorsa umana colpita da questo fenomeno, con l’assistenza di adeguate relazioni medico-legali che attestino questa realtà è senz’altro proponibile un’azione legale. Non è mia intenzione fomentare il ricorso all’attività dei legali in questo ambito, ma preferisco suggerire a ciascuno degli operatori della salute, e soprattutto del management delle direzioni aziendali, di prevenire l’abuso della pronta disponibilità perché porta conseguenze nocive per tutti: per il personale, ma anche per la collettività».
«Posso dire che una delle conseguenze della resistenza di alcune persone esercenti attività sanitaria alle dipendenze del servizio pubblico ha comportato la reazione dell’ordinamento consistente nella loro sospensione dal posto di lavoro. Sospensione che, automaticamente, ha generato una diminuzione del personale in forza alle singole strutture. La tematica è complessa: come abbiamo accennato durante il webinar ha anche risvolti culturali e deontologici. Ma nella pluralità che sempre va garantita nell’interlocuzione con chi ha opinioni diverse dalla nostra, sta di fatto che si è trattato di un fenomeno che ha pesato sull’assistenza sanitaria. Ha pesato così tanto da far venire in mente anche l’assunzione di personale vaccinato a titolo temporaneo, e dunque con contratto a tempo determinato, per sopperire a queste aggiuntive carenze d’organico, derivanti appunto dalle sospensioni dei dipendenti non vaccinati».
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