Professor Tonioni, responsabile dell’area delle dipendenze comportamentali del Policlinico Gemelli di Roma: «La tristezza è causata dalla solitudine; il problema è l’assenza genitoriale»
Gli adolescenti che svolgono attività off line sono più felici e sicuri di quelli sempre connessi alla rete. È il risultato di uno studio pubblicato sulla rivista Emotion condotto per cinque anni dall’Università della Georgia su più di un milione di ragazzi americani tra i 13 e i 18 anni. Gli studiosi hanno chiesto agli adolescenti quanto una serie di attività li rendesse felici, incrociando poi le risposte ricevute con il tempo impiegato dai ragazzi in quelle attività. È quindi emerso che più tempo si passa in attività on line, più si è insoddisfatti del tempo speso in quella attività: navigare in internet è risultata l’attività più frustrante, seguita dai video game, i social media e le chat. Anche leggere notizie on line e guardare la tv crea disagio nei ragazzi. Al contrario, le attività che più sembrano soddisfarli e in cui si sentono più bravi sono, sorprendentemente, fare i compiti a casa, leggere giornali e magazine cartacei, le attività religiose, incontrare gli amici e, su tutti, fare sport e attività fisica.
I meno felici, secondo lo studio, sono quelli che spendono minimo 40 ore a settimana su internet e social media. Quelli che invece spendono più di cinque ore al giorno al cellulare sono in genere due volte più infelici e insoddisfatti di chi spende davanti lo schermo al massimo un’ora al giorno. L’obiettivo dello studio era comprendere quanto il boom dei device mobili abbia compromesso la stabilità psicologica e la felicità degli adolescenti: il 2012 infatti, anno in cui lo studio ha preso il via, è quello in cui per la prima volta la diffusione di smartphone e tablet ha coinvolto più del 50% degli adolescenti americani, arrivando al 73% nel 2015 e all’89% nel 2016. All’aumentare della diffusione dei device, conclude la ricerca, aumentano anche infelicità e insicurezza dei ragazzi.
«Ma internet e la dimensione on line non causano nulla da un punto di vista clinico». Il professor Federico Tonioni, responsabile dell’area delle dipendenze comportamentali del Policlinico Gemelli di Roma, commenta così a Sanità Informazione i risultati della ricerca americana. «Se gli adolescenti sono depressi non è perché usano molto il telefonino ma perché si sentono soli, e di questo sono responsabili i genitori e l’ambiente in cui vivono. I bambini – prosegue – crescono con tablet, smartphone e console perennemente in mano, perché sono ottimi babysitter, mentre i genitori non condividono con loro alcuna attività. I problemi che si possono avere da ragazzi nascono tutti lì, perché l’adolescenza è il megafono dell’infanzia. Non è importante se l’attività è svolta dentro o fuori, ma se viene fatta in modo condiviso».
«Gli adolescenti hanno il diritto ad essere iperconnessi, magari avessi avuto io il cellulare o il tablet da ragazzo! Poi, certo, i genitori hanno il dovere di stabilire delle regole per arrivare ad un compromesso con i ragazzi senza per far accumulare rabbia nei figli. Ma non c’è un legame tra felicità e attività all’aperto o infelicità e iperconnessione», conclude.