Il Segretario del sindacato spiega quanto fatto fino ad ora per contrastare un fenomeno pericoloso e in aumento. E aggiunge: «Un bene che non ci venga riconosciuto lo status di pubblico ufficiale»
«Bene che le Aziende si costituiscano parte civile al fianco dei medici aggrediti. Si tratta di una battaglia di civiltà che va combattuta con tutte le istituzioni in campo». Così Luciano Cifaldi, Segretario Cisl Medici Lazio, sulle aggressioni che il personale sanitario continua a subire, in particolare nei Pronto Soccorso. «Abbiamo parlato con vari interlocutori – spiega ancora Cifaldi – e abbiamo trovato molta disponibilità da tutti». E sul Ddl anti-violenza, secondo Cifaldi il ruolo di pubblico ufficiale potrebbe essere un’arma a doppio taglio.
Segretario, continuano quotidianamente le aggressioni al personale sanitario. La Cisl Medici Lazio si è mossa molto. Quali sono le soluzioni che proponete?
«Ci siamo mossi molto, è vero, abbiamo cercato di portare all’attenzione dell’opinione pubblica quella che è una battaglia di civiltà. Già le aggressioni sono condannabili in quanto tali, ma quelle a medici, infermieri e personale sanitario, che sono lì per cercare di tutelare la salute di ognuno di noi, costituiscono una situazione che dovrebbe essere quantomeno attentamente valutata da tutta una serie di soggetti istituzionali. Noi ci siamo rivolti ai Prefetti del Lazio e abbiamo avuto dei riscontri favorevoli perché hanno organizzato le riunioni di convocazione dei consigli provinciali per la sicurezza. Ci siamo poi rivolti, in maniera bipartisan, ai deputati e consiglieri regionali: alcuni di loro hanno avanzato delle interrogazioni in consiglio, altri, come il presidente della Commissione Sanità, ci hanno dato la loro solidarietà concreta. Successivamente ci siamo rivolti anche ai direttori di testate giornalistiche per supportare questa campagna di stampa. Come ho avuto modo di evidenziare recentemente, nessuno ci ha mai chiesto da che parte fossimo schierati politicamente, ed anzi ci hanno dato una grandissima mano perché anche questi direttori hanno creduto molto in questa battaglia di civiltà».
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La politica dal canto suo si è mossa: il Ddl anti-violenza ha superato l’esame delle commissioni ma non viene riconosciuto il ruolo di pubblico ufficiale degli operatori sanitari. Dal suo punto di vista è un bene o un male?
«Qui l’opinione è strettamente personale perché anche nella mia organizzazione sindacale i pareri divergono. Per quanto mi riguarda è un bene: la qualifica di pubblico ufficiale porrebbe in carico al medico, all’infermiere e all’operatore sanitario alcune incombenze ancora più gravose rispetto a quella che è l’attività professionale quotidiana. Noi siamo già esercenti una funzione di pubblico interesse ma da qui a diventare pubblico ufficiale ce ne vuole. Il problema è un altro: molti colleghi pensano che essere pubblico ufficiale significhi ottenere in automatico delle aggravanti a carico dell’eventuale aggressore. Il rovescio della medaglia però è che in una qualsiasi altra problematica che dovesse colpire il medico, anche in quel caso ci sarebbe un aggravante».
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Le Aziende invece si dovranno costituire parte civile?
«Questa è stata una nostra battaglia fin dall’inizio perché riteniamo che il patrimonio umano costituisca veramente la ricchezza dell’Azienda sanitaria. Senza ovviamente generalizzare, ma noi oggi abbiamo dei medici che possono essere anche parzialmente demotivati per situazioni di stress lavorativo, per una questione contrattuale che ha avuto tempi infiniti, oltre 10 anni. La stessa cosa vale per gli infermieri. Tra l’altro lo stipendio non è equiparato agli standard europei. Capita spesso di riempirci la bocca con frasi del tipo: “ce lo chiede l’Europa”. Evidentemente in questo caso, quando quella stessa Europa ci ha chiesto di adeguare gli stipendi, non lo abbiamo fatto. Sapere di avere l’Azienda dalla tua parte, la direzione strategica che si costituisce parte civile, significa avere un sostegno molto importante e quindi avere quel minimo di serenità in più e sapere che si sta remando tutti nella stessa direzione».
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