Intervista a Diego Piazza, presidente Acoi: “Stare vicino ai singoli professionisti che decidono di fare azioni individuali per tutelarsi”
Chirurghi italiani sempre più spremuti dai turni di lavoro e dai rischi correlati alla loro specializzazione.
Ore passate con i ferri in mano e la concreta possibilità di essere chiamati in causa, data la delicatezza del loro ruolo, per un presunto episodio di malpractice. Sanità informazione ha parlato con Diego Piazza, Presidente dell’Associazione Chirurghi Ospedalieri Italiani (ACOI) e capo dipartimento Chirurgia Azienda Policlinico-OVE Catania.
Presidente Piazza, i chirurghi italiani sono oberati dal lavoro e dalle responsabilità, ma hanno bisogno di maggiore serenità e libertà.
«Chi fa il chirurgo non può essere spaventato dal lavoro o dalla responsabilità. Rispetto a 25 anni fa chi opera in ambito chirurgico al giorno d’oggi è spaventato da altre cose, da quelle che lo tengono fuori dalla sala operatoria. Mi riferisco a quella che chiamo “chirurgia cartacea”: ovvero l’ enorme – e spesso inutile – burocrazia alla quale tutti noi veniamo sottoposti. In quest’ottica, il chirurgo deve diventare un esperto assicurativo o di diritto civile, penale e amministrativo e deve dare un occhio anche alla Corte dei Conti. Il chirurgo salottiero è chiamato a riunioni su temi improponibili a orari assurdi dalle nostre direzioni generali. In questo modo non si fa che sottrarre i chirurghi alle sale operatorie. Ma il chirurgo, per operare, è lì che deve stare».
In merito alle pressioni sul medico che vanno a ricadere poi sul cittadino, altro tema delicato del quale le istituzioni hanno la necessità di occuparsi è quello degli orari di lavoro. È bene chiarire che le aziende, in questo caso, non sono coinvolte in quelle che possono essere le azioni di rimborso del singolo medico per le ore di lavoro in più non pagate. L’operatore chiede invece conto allo Stato perché è lo Stato il vero responsabile di questa situazione.
«Mi sembra una cosa evidente, anche perché il numero di medici presente in un’unità operativa complessa non viene stabilito dalla direzione generale ma risponde ad una legge dello Stato. Se però consideriamo che ci sono unità operative con un solo chirurgo – e quindi diventa un prigioniero del reparto nel quale deve esercitare – mi chiedo come sia possibile far rispettare un orario di servizio adeguato ad una persona dove è in servizio un solo medico o dove su quattro medici due hanno la 104 e un altro ha un’invalidità per cui non può fare le notti. È un problema che lo Stato deve assolutamente affrontare e risolvere».