Lavoro e Professioni 18 Giugno 2021 13:00

Arriva l’estate ma i professionisti sanitari non riescono ad andare in ferie. È allarme burnout

Hanno lavorato duramente perché questa fosse un’estate serena per tutti, ma medici e professionisti sanitari non sono certi di potersi riposare. Su di loro pesano ancora le visite rimandate e la campagna vaccinale, ma si rischiano conseguenze fisiche e psicologiche a lungo termine. Come tutelarsi

Arriva l’estate ma i professionisti sanitari non riescono ad andare in ferie. È allarme burnout

L’estate 2021 si avvia per tutti ad essere un momento di rinnovata tranquillità dopo le difficoltà della pandemia. Con l’approvazione del Green pass europeo italiani e non potranno riprendere a viaggiare in Europa, vivendo le ferie con maggiore serenità. C’è il rischio però che una delle categorie che maggiormente ricerca questo tipo di riposo non riesca ad ottenerlo. I professionisti sanitari, chiamati a una sfida faticosa durata quasi due anni, di quel riposo hanno bisogno ma non sanno se l’avranno.

Pochi medici, troppe cose da fare

In prima linea a sfidare il virus senza strumenti per non lasciare soli i pazienti, in ospedale accanto a letti sempre troppo pieni, sulle unità USCA per controllare i malati a domicilio e ancora in campo per tamponi straordinari, Pronto soccorso pieni e la campagna vaccinale più vasta di sempre.

Inoltre, in ospedale e negli ambulatori le visite specialistiche rimandate per paura del contagio stanno lentamente sostituendo le incombenze legate a Covid-19. Lentamente ma con la stessa urgenza prima riservata al virus, proprio perché postposte per troppo tempo. All’origine di queste richieste che sembrano non esaurirsi mai c’è il problema fondamentale della mancanza di personale.

Prime segnalazioni a Consulcesi

Pochi professionisti a disposizione delle strutture, impiegati in turni infiniti e ben superiori a quelli previsti dalla legge. Ne dà notizia anche Consulcesi, network di assistenza legale per operatori sanitari, che afferma di aver ricevuto le prime segnalazioni di orari di lavori insopportabili e fatto partire le prime diffide per tutelare i diritti dei propri assistiti. «Rischiamo che esploda nelle prossime settimane, quando agli operatori sanitari verranno rifiutate le ferie o quando verranno allungati i loro turni», sostiene il presidente Massimo Tortorella.

Dal 2003, la direttiva 88/CE dell’Unione europea stabilisce un massimo di 48 ore settimanali con gli straordinari e di un riposo giornaliero di almeno 11 ore consecutive. L’Italia si è adeguata formalmente solo nel 2015 e il numero di ricorsi, informa Consulcesi, è andato moltiplicandosi, chiedendo un rimborso pari ad oltre 80 mila euro per sei anni di lavoro sia nel caso in cui le ore lavorate in più non siano state pagate ma fatte rientrare dall’azienda nell’ambito dell’obiettivo di risultato, sia nel caso in cui siano invece state pagate.

La sindrome da burnout e le sue conseguenze

Ma cosa comporta lavorare troppo e affrontare turni massacranti per lo stato fisico e psichico?

Della sindrome da burnout per i sanitari si parla già da inizio pandemia. Un disturbo che si genera in situazioni di profondo trauma in cui la persona lavora intensamente, per troppe ore e in costante timore per la propria vita e quella dei propri cari (questo si verificava all’inizio, quando medici e infermieri temevano di “portare a casa il virus”). Di cui si devono temere anche e soprattutto le conseguenze fisiche.

Secondo uno studio dell’Organizzazione mondiale della Sanità con l’International Labour Organization, lavorare 55 ore a settimana causa centinaia di migliaia di morti premature, con un legame chiaro con un maggiore rischio di infarti e malattie cardiache. La sindrome da burnout prevede inoltre stanchezza, dolori muscolari, mal di testa e problemi di stomaco, insieme a una profonda perdita di motivazione. Essere così fortemente a contatto con il virus ha poi peggiorato quell’insieme di stress irrisolto e di stanchezza frustrata che compongono il disturbo.

Dalla British Medical Association arriva un rilevamento che dimostra che, sin dall’inizio della pandemia, circa un terzo dei medici di base partecipanti al sondaggio stava considerando la pensione anticipata e un quinto desiderava mettere in pausa la propria carriera.

I rimedi, ma sono possibili?

Per i professionisti che sentono i sintomi del burnout forti e chiari, la psicologia consiglia un percorso che parta dalla consapevolezza dello stress, incameri la resilienza e apprenda le strategie di gestione necessarie. Tra queste l’auto-imposizione di limiti molto basilari: una buona dieta, esercizio, riposo e sonno. Pause quando possibile anche durante il lavoro e una condivisione delle responsabilità.

Sarà possibile metterli in pratica? Con la costante richiesta e il poco ricambio si rischia che medici, professionisti sanitari e oss non riescano a seguire i consigli degli psicologi e vengano lasciati ad affrontare da soli le proprie difficoltà. Finché questa mancanza non arriverà a pesare su tutto il Sistema sanitario nazionale, proprio ora che non può permetterselo. Urge una soluzione, perché agli “eroi della pandemia” sia concessa finalmente una ricompensa.

 

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